“LA BOLLA DELLA CROCIATA” GIUSEPPE PITRÈ LA VITA IN PALERMO CENTO E PIÙ ANNI FA – VOLUME SECONDO – RICERCA STORICA DI GIOVANNI TERESI

Copertina del libro di Giuseppe Pitrè

LA BOLLA DELLA CROCIATA.

Si riporta qui di seguito integralmente il capitolo della Vita in Palermo cento e più anni fa ( Volume secondo)  di Giuseppe Pitrè. La mia ricerca è volta ha far conoscere le tradizioni religiose della città in quel periodo.

(127 R.  Segreteria, Incartamenti, n. 5290. 128 FORNO, Opuscoli cit., II, p. CCLVI.)

«Nel 1556 i Sovrani di Sicilia ottennero dai pontefici il privilegio di vendere e distribuire le bolle di Pio IV nella occasione della guerra contro i Mori.

Per gratitudine di questa concessione Filippo il Prudente fece un’annua assegnazione alla fabbrica di S. Pietro in Roma di scudi romani 1666» 129 .

Sulla fine del sec. XVIII col pretesto che si dovesse dar la caccia alle galere turchesche, gl’introiti di questo privilegio li volle per sè Re Ferdinando, il quale sapeva bene quel che voleva, perché quegl’introiti costituivano una bella sommetta. L’acre Giuseppe Gorani nel 1794 scriveva che la Sicilia pagava per questo quarantunmila ducati all’anno130. Se dicesse la verità, sel veda chi ha modo di approfondire questa forma, poco o niente finora studiata, di sfruttamento governativo dell’Isola. Più tardi, nel 1813, l’Ortolani affermava lo introito annuale delle bolle 45000 onze, pari a ducati 135 mila; e senza dubbio egli parlava della Bolla in tutta la Sicilia e non nella sola Palermo. Questa cifra, per chi vi si fermi sopra con attenzione, è molto interessante. Quarantacinque mila onze valevano mezzo milione di bolle; e mezzo milione di bolle rappresentavano cinquecentomila Siciliani sollecitanti la licenza dell’uso delle carni, delle uova, dei caci, del latte ecc.

La popolazione d’allora, in tutta l’Isola, era di 2 milioni; sicché una quarta parte di essa cercava di mettersi in regola con la chiesa, con la propria coscienza e anche col proprio stomaco per quanto poco fosse esigente. Poteva, è vero, partecipare alle ragioni dell’acquisto il timore di essere scoperti trasgressori d’un precetto chiesastico, che è quanto dire civile e magari politico; ma al religioso non prevaleva certamente il timore delle pene corporali dell’autorità civile e politica. Nessun credente, nessun suddito fedele di S. M. avrebbe sognato di sottrarsi al compimento dei più elementari doveri religiosi, nei quali pietà, devozione, culto si confondevano in un pensiero indefinito, in aspirazioni ataviche molto vagamente mantenute. Se poi questo pensiero fosse espressione (129 ORTOLANI, op. cit., p. 49. 130 GORANI, op. cit., t. I, p. 47. ) fedele d’un sentimento schiettamente religioso, non è luogo opportuno d’indagare. Vicerè il Marchese Caracciolo, un real dispaccio del 15 febbraio 1783 aboliva l’intervento senatorio alla solenne proclamazione della Bolla; ma un dispaccio posteriore lo ripristinava. Così, mentre si manteneva intatto il divieto precedente, della partecipazione del Magistrato civico alle quarantore del Monte Pellegrino (14 settembre), tornava ad imporsi quello della grande festa della Bolla131, evidentemente perché se ne accrescesse la pompa, e con la pompa le entrate a beneficio del Sovrano. Ed ecco, come pel passato, questa cerimonia nelle domeniche di Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima, ripetersi con tutto l’apparato religioso, civile e militare, onde per lunghissimo volger d’anni era stata accompagnata. Trattavasi della pubblicazione d’un indulto pontificio a favore di chi per ragion di salute volesse in quaresima cammaràrisi, cioè mangiar di grasso.

Ma questo indulto, che pur concedeva beneficî religiosi non comuni, portava con sé qualche obbligo materiale e spirituale in chi lo cercasse.

Egli dovea per l’acquisto della Bolla, cioè della licenza, 52 grani (L. 1,11) e compiere speciali pratiche devote, visitando in dati giorni, per un dato numero di volte, alcune chiese designate. Per ciò appunto l’opera del Senato era non che cercata ma voluta.

Il gonfalone della SS. Crociata veniva sorretto da un prete, avente allato un tesoriere (erario) dell’Arcivescovo, il quale portava in mano una bara, entrambi, prete e tesoriere, eran preceduti da dodici chierici, o jàconi rossi (russuliddi), in cotta.

Non ostante che adusato a cosiffatti spettacoli, il pubblico grosso e minuto s’affollava innanzi al palazzo arcivescovile, ove la lieta novella dovea primamente darsi. Tamburini e trombetti senatorii, agli ordini del Cerimoniere del Senato, ad un cenno di lui sonavano: e D. Girolamo De Franchis con chiara e roboante voce leggeva: Il Sommo Pontefice si è degnato concedere l’uso (131 Provviste del Senato, a. 1783-84. p. 429.) dei latticini e delle carni nella prossima Quaresima. Ma perché il Cerimoniere del Senato e non altri dell’Amministrazione della SS. Crociata? Perché il Senato entrava in tutto e per tutto, ed il suo Cerimoniere stavolta era anche Banditore. La cavalcata (giacché tutta questa gente andava su muli e cavalli che richiamavano a quello dell’Apocalisse) sfilava verso il Palazzo vicereale. Al corpo di guardia, Don Girolamo rileggeva, e tosto, per la piccola piazza (Chiazzittedda), via di Porta di Castro e Ponticello, fino al Palazzo Pretorio. Terza lettura e terza ripresa di via, stavolta per l’abitazione del Tesoriere della Crociata, donde, dopo una quarta ed ultima lettura, alla Cattedrale ordinaria o provvisoria. Allora le tre autorità principali potevano esser soddisfatte dell’omaggio reso loro; ma il Tesoriere lo era più di tutte, e per quei giorni non capiva nei panni. Così preannunziata, la Bolla veniva più tardi, in un gran foglio stampato, con ogni maniera di solennità, condotta in giro pel Cassaro. Il Senato in carrozza, e dietro ad esso, ufficiali nobili s’avviavano alla graziosa chiesa di S. Francesco d’Assisi. Quattro canonici lo ricevevano alla porta; il Cerimoniere gli esibiva l’acqua santa; i tamburi e lo stendardo col Crocifisso dipintovi sopra si mettevano in moto; gli Orfani dispersi, gli Orfani di S. Rocco, i frati Conventuali, i Chierici del Seminario, seguivano, e con essi il Capitolo col suo araldo, i tre vivandieri, uno dei quali in cappa magna con un quadretto della Madonna in mano. Penultimo gruppo: jàconi rossi, paggi del Pretore e del Vicario, e in mezzo, con la tanto celebrata Bolla, in insegne canoniche, il Ciantro, fiancheggiato dall’Assessore e dal Maestro Notaro della Crociata. Ultimo gruppo: Mazzieri, Maestro di Cerimonie del Senato, Senatori coi loro ufficiali nobili e civili, contestabili e trombetti e sonatori di oboe e lunga tratta di gente. Entrati in chiesa, tutti erano al loro posto. Ad un lato il Vicario generale o il Ciantro; all’altro, il Senato. Inchini rispondevano ad inchini: e quando tutto era in ordine, e fin la Bolla appesa innanzi al Crocifisso, la cerimonia aveva il suo epilogo in una gran messa, intramezzata da un sermone, che celebrava i beneficî provenienti dallo indulto stato concesso. L’incarico di questo sermone era ambito e sollecitato anche da predicatori sommi. Il Senato, che soleva far sempre le spese, stavolta (rara eccezione) non ne faceva nessuna; bastandogli solo di metter di suo la pompa pretoria. Chi pagava invece era l’Amministrazione della Crociata, la quale compensava il panegirista dell’opera con quattr’onze d’argento (L. 51), una risma di carta bianca (di quella che oggi si dice protocollo), un mazzo di penne d’oca e cinque copie della Bolla: un bel regalo davvero! Una volta il predicatore designato non comparve. Era già l’ora della funzione, e tutti si guardavano in viso tra maravigliati del ritardo e contrariati che non si potesse udire la tanto attesa orazione panegirica. Ed ecco farsi innanzi verso il Commissario un sacerdote, ed offrirsi di supplire il ritardatario. L’offerta, manco a dirlo, è subito, ma non senza una tal quale diffidenza, accettata. Il ben arrivato ecclesiastico sale sul pergamo e fa una orazione del seguente tenore: «Sua Santità, inesauribile nelle sue grazie, ne ha concesso una, cristiani dilettissimi, che non ha l’eguale nel mondo universo: ha accordata la Bolla, per poter ogni fedele cammàrarsi, e con questo, ha pure mandata la indulgenza plenaria. Così egli ha aperto, ma che dico io aperto? spalancato il tesoro delle celesti grazie. Per questo tesoro non v’è prezzo. Eppure, se sapeste, uditori umanissimi, quanto poco si paga una parte di questo tesoro, la Bolla della SS. Crociata! Ditelo voi!… Forse cent’onze? No: figli miei; non si permette cotanto dispendio. Forse cinquanta?… Neanche. Lo pagherete venti, dieci onze? Neanche questo. Potreste allora pagarlo cinque; ma la inesauribile carità del Padre dei fedeli non può consentire a tanta spesa. E allora nè cento, nè cinquanta, nè venti nè dieci, nè cinque, si potrà pagare un’onza. Oibò, neanche la metà, fratelli dilettissimi, neanche un quarto d’onza! Sbalordite! Tanto tesoro, che vi consente di mangiar carne e latticinî durante la prossima Quaresima, tanto tesoro si paga solo cinquantadue grani!….» 132 . Contro l’ammonimento consacrato nel solito cartellino attaccato alla porta delle chiese: Se vuoi placar di Dio la maestate offesa, sta con silenzio e riverenza in chiesa. uno scoppio d’ilarità risonò per le ampie volte del tempio. Il vecchio Arcivescovo Mons. Sanseverino strinse con forza le labbra; il giovane Pretore Duca di Cannizzaro sorrise con tutto l’Eccellentissimo Senato: e le quattr’onze in argento, e la risma di carta, e le penne d’oca, e le cinque bolle furono con inusitato piacere mandate fino a casa dell’arguto o semplice oratore. Egli se le era ben meritate! Abbiamo detto che il Senato faceva sempre le spese: e dobbiamo un chiarimento della nostra affermazione. Le funzioni non solo profane ma anche sacre erano senza numero, ed il Comune non poteva disinteressarsene. Lasciarne passare una senza concorrervi operosamente, che è quanto dire spendendo, era un’offesa alle tradizioni religiose della Città. Molte cose abbiam trovate in proposito rovistando vecchie carte d’archivio: e più volte ci è venuto sulle labbra l’antico motto: Cappiddazzu paga tuttu! Senza uscir di sagrato, ricordiamo che per le processioni senatorie per quelle delle chiese secolari e regolari la sola cera impiegata ammontava a poco men che diciotto quintali (presso a chil. 1440), la quale al prezzo di tarì 8, gr. 12 il rotolo (L. 365 il chil.) raggiungeva la cospicua cifra di circa milledugentotre onze (Lire 15.325,50), divenuta un terzo di più nel 1808 per l’aumento di prezzo del genere. Nè c’è da sospettare di arbitrî di senatori, o di compiacenze verso preti e frati, perché quella dozzina e mezza di quintali di cera era stata, 132

Storico anche questo; l’abbiamo raccolto dalla bocca di vecchi canonici della Cattedrale di Palermo, uno dei quali vive ancora. come ultima ratio, ritenuta spesa obbligatoria dalla famosa Riforma governativa del 1788133 . E lasciando altri particolari, torniamo alla Bolla. Al domani della funzione, questa veniva messa in vendita. Ogni buon padre di famiglia si affrettava a provvedersene, e ad apporvi il proprio nome, recitando a tempo e a luogo alcune orazioni, e pregando non solo pel Sommo Pontefice, ma anche pel Re, che, a conti fatti, era l’unico beneficato, come quello che si scroccava somme colossali, e benedizioni, non si sa quanto sincere, dei suoi sudditi. Il desiderio di mangiar di grasso stuzzicava sovente i cittadini a procurarsi in varie guise l’autorizzazione del cibo proibito. Abbiamo in proposito un documento abbastanza curioso e molto caratteristico. Gl’impiegati tutti, dal nobile Spedaliere al guattero della cucina, dell’Ospedale celtico di S. Bartolomeo (oggi Istituto dei Trovatelli) e di altri spedali e spedaletti della Città, il dì 6 febbraio del 1799 si rivolgevano al Cardinale Arcivescovo di Napoli, a ciò delegato dalla S. Sede, perché consentisse loro, mercè l’acquisto della Bolla, l’uso delle carni e dei grassi per la Quaresima e per ogni altro giorno proibito (vulgo proìbitu) dell’anno.

Il documento è questo: «L’Ospedaleri, li Professori maggiori fisici e chirurgi, li Pratici fisici e chirurgi, l’Infermieri e Cappellani, li Ricordanti, l’Aromatarj, li Maggiordomi, li giovani di assento, li cuochi, li massari, li serventi dell’uno e dell’altro sesso, li lavandare, li P.P. Cappuccini e tutte le persone addette al servigio dell’Ospedale di S. Bartolomeo, l’Incurabilie dell’Ospedale dello Spirito Santo con suoi annessi e dipendenti ospedaletti della città di Palermo in Sicilia, umiliano alla E. V. che havendo supplicato al di loro Arcivescovo di accordargli (sic) in perpetuum la grazia di poter mangiar carne in tutti i giorni proibiti dell’anno, come sono 133 Riforma cit. (a p. 106 del v. I di quest’opera), p. 60. – I. SALA, Dimostrazione dello Stato del Patrimonio del Senato di Palermo, presentato alla Giunta eretta pella fissazione del detto Patrimonio. Ms. dell’Archivio Comunale di Palermo. Venerdì, Sabati, vigilie, quattro tempi e quaresima, per essere li viveri di mezzo scarsissimi, per le laboriose fatighe che sono nelli detti ospedali col prossimo pericolo di perder la vita; per altro non spirano se non aere mercuriale, risposegli non aver tale facoltà. Supplicano pertanto V. E. affinchè quale special delegato di S.S. Pio VI gli facesse la grazia accordargli in perpetuum la dispenza suddetta, di poter mangiar carne colle loro famiglie e rispettive commensali in tutti i giorni proibiti di sopra descritti coll’obbligo espresso però di doversi provvedere ogn’uno di essi della Bolla della SS. Crociata. Lo supplicano ecc.». Si rileva da qui che la grazia volevasi in perpetuo e per tutte le famiglie dei sanitarî, degli ecclesiastici e degli inservienti: privilegio che non aveva esempio nel genere. S. Eminenza esaminò la cosa e concesse134 ma S. Maestà non dovette saperne nulla, altrimenti forse se ne sarebbe risentita come di concessione lesiva degl’interessi dello Stato o, meglio, suoi.

Ricerca storica di Giovanni Teresi

Bibliografia:

Giuseppe Pitrè La vita in Palermo cento e più anni fa. Volume secondo

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