“Il mito di Poros e Penia in Platone” di Ferdinando Bergamaschi

Dopo gli interventi di Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane e Agatone e prima dell’intervento di Alcibiade, Platone, nel suo Simposio, dà la parola a Socrate. Tutti costoro (fuorchè Alcibiade che ancora non era arrivato al banchetto) attendono trepidamente il discorso di colui che sanno essere il vero sapiente, Socrate appunto. Occorre ricordare che il  vero sapiente per i Greci corrisponde a colui che partecipa conoscitivamente delle cose divine. L’argomento attorno al quale questi uomini discutono in questa occasione è Amore, Eros.

Nel prologo al suo grande discorso Socrate, pur elogiando gli interventi di coloro che lo avevano preceduto, afferma che, per quanto belli, i loro discorsi non avevano colto la verità che si cela dietro il mistero di Eros. Ma egli stesso dice che non sapeva quale fosse la verità intorno ad Amore prima che la sacerdotessa e veggente Diotima di Mantinea gliel’avesse insegnata.

Nel suo grande discorso quindi, Socrate, riporta l’insegnamento di Diotima. Ed è curioso notare che Diotima utilizza con Socrate proprio l’arte di cui solitamente si serve Socrate stesso: la maieutica, l’arte della levatrice (o dell’ostetrica). Diotima incalza Socrate con delle domande grazie alle quali “estrae” da Socrate le verità che egli aveva già dentro la propria anima proprio come l’ostetrica fa con i corpi delle madri partorienti estraendone fuori i neonati. Dunque: così come l’arte ostetricia si applica ai corpi delle madri, l’arte maieutica si applica alle anime degli uomini. La maieutica, in particolare, nell’opera di Platone è a tema nel Teeteto. La dottrina della maieutica, inoltre, è, a nostro parere, inseparabile dalla dottrina dell’anamnesi (a tema nel Menone), o della reminiscenza, ovvero del ricordo da parte dell’uomo delle idee conosciute dall’anima in una sua esistenza pre-natale, pre-terrena, metafisica, quando l’anima non si era ancora incarnata e stava nell’iperuranio (o mondo delle Idee). Infatti la maieutica funziona proprio in quanto stimola il ricordo di queste verità che l’anima possedeva prima di incarnarsi e che aveva dimenticato una volta incarnatasi.

Ma veniamo all’insegnamento di Diotima sui misteri di Amore. Anzitutto la sacerdotessa di Mantinea persuade Socrate che Eros ha un carattere “intermedio” fra sapienza e ignoranza. E nell’insegnare questa verità Diotima presenta un mito assai profondo e significativo: il mito di Poros e Penia (203 A-E). Questo mito si presenta così. Quando nacque Afrodite, gli dei tennero nel giardino di Zeus una festa. Tra gli invitati vi era Poros – la pienezza, la risorsa -; sul finire del banchetto giunse Penia – la privazione, la povertà – a mendicare; accadde che Poros, ubriaco di nettare dopo il banchetto, s’addormentò; Penia allora, approfittando di questo stato di Poros,  si congiunse con lui, dato che aveva escogitato di avere da lui un figlio proprio perché ella si trovava ad esser mancante di tutto ciò che invece aveva Poros. Fu così che nacque Eros, il quale, essendo nato nel segno della dea Afrodite (cioè durante la festa in onore della sua nascita) sarà seguace e ministro di Afrodite stessa. Da qui la natura appunto “intermedia” di Amore, il quale si trova ad essere povero e mortale da parte di madre, e invece coraggioso, intrepido, ingegnoso e immortale da parte di padre. Ogni giorno egli muore a causa della natura materna ma poi subito rinasce in virtù della natura paterna immortale. Non solo: egli soprattutto sta in mezzo tra sapienza e ignoranza. Ed ecco dunque infine il significato profondo di Eros: in quanto “intermedio” tra sapienza (che per i Greci significa partecipazione alla conoscenza divina) e ignoranza egli è “filosofo”. Infatti - insegna Platone tramite Socrate a sua volta tramite Diotima - non sono certo gli dei a desiderare di essere filosofi dato che già posseggono la conoscenza, e neppure gli ignoranti desiderano di essere filosofi dato che proprio chi non è saggio ritiene di esserlo già. Invece sono proprio coloro che stanno in mezzo tra la l’ignoranza e la sapienza ad essere filosofi, poiché bramano di staccarsi dalla prima per raggiungere la seconda.

Questo mito, quindi, lumeggia proprio la “natura intermedia” della filosofia che, in quanto “amore per la conoscenza”, caratterizza quegli uomini che, pur partendo da una natura mortale e limitata, desiderano fortemente partecipare dei misteri divini.

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