“Fascismo e comunismo ancora non si possono accostare” di Domenico Bonvegna

Quella che Antonio Socci ha evidenziato sul quotidiano Libero del 26 agosto scorso (La “provocazione” di Galli della Loggia sul comunismo e la 'non' risposta di Esposito) poteva essere una querelle estiva su cui dibattere, Socci fa riferimento a un intervento di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera dell'11 agosto: “La duplicità antidemocratica che non riusciamo a superare”. In pratica il sottotitolo dice già tutto: “la memoria pubblica sul fascismo non può andare disgiunta dalla memoria pubblica riguardo il comunismo”.  Per il giornalista cattolico, “La riflessione di Galli della Loggia avrebbe meritato un dibattito serio. Invece è stata snobbata, perché mette il dito su una piaga vera. Così l’estate è stata occupata da ben altre discussioni”.

Sostanzialmente la tesi di Galli della Loggia era questa: “la peculiarità della storia italiana è stata quella di aver dato vita al fascismo, ma insieme anche a un fortissimo movimento comunista senza eguali in questa parte d’Europa” e “seppure in modi ovviamente ben diversi entrambi hanno rappresentato due patologie antidemocratiche. Qualche mese fa ho recensito l'interessantissimo libro di Oscar Sanguinetti,Fascismo e Rivoluzione. Appunti per una lettura conservatrice”, (Cristianità, 2022), dove si sviluppano anche queste tematiche.

Che fascismo e comunismo siano due patologie dello stesso segno, è la persuasione non solo dello storico Galli della Loggia, ma della maggior parte degli italiani, ma non quella dell’establishment e dei media, perché “da noi è già considerato sospetto qualunque accenno di accostamento/confronto tra i due”.

Lo storico torinese faceva rilevare che gli atti terroristici di estremisti di destra sono sempre stati qualificati, giustamente, come “fascisti”, ma per quelli di estremisti di sinistra “mai una volta l’ufficialità repubblicana ha parlato o scritto di delitto ‘comunista’. Ogni volta si è sempre sentito parlare solo di trame ‘brigatiste’, di delitti ‘brigatisti” e “se non ricordo male su nessuna delle tante targhe che nelle vie e nelle piazze d’Italia ricordano l’assassinio di qualche vittima del terrorismo rosso è scritto ‘vittima delle violenza comunista’”.

Qualche settimana dopo sullo stesso argomento su “Repubblica” è uscito un articolo di Roberto Esposito intitolato“Si fa presto a dire totalitarismo”. Sottotitolo: “Una parola associata indifferentemente a nazismo e comunismo. Ma è difficile omologare fenomeni storici così differenti”. Esposito sosteneva una tesi molto diversa a quella di Galli della Loggia.

Nella sua “essenza filosofica” secondo Esposito il nazifascismo è difficilmente comparabile con il comunismo. Non per numero delle vittime – quelle dello stalinismo sono state anzi maggiori di quelle del nazismo. Ma per la radicale differenza dei loro linguaggi concettuali. Qui la categoria di totalitarismo evidenzia i suoi deficit più vistosi”.

Esposito per dar forza alla sua tesi afferma che, “il comunismo scaturisce dal ventre della modernità – dalla filosofia della storia hegelo-marxista “. Mentre il nazismo no, nasce dalla decomposizione della cultura moderna”. Ancora una volta dunque un importante intellettuale, su un giornale influente della sinistra, non vuole accostare nazismo e comunismo sotto la categoria del “totalitarismo”. Inoltre Socci fa rilevare che anche Esposito quando si parla di vittime, fa ricorso al termine “stalinismo”. E questo è un dettaglio che accade spesso sui media. Come se fosse stato solo Stalin a fare vittime e non il comunismo in sé (dappertutto). Come se il termine “comunista” fosse una categoria ideale e filosofica che non deve essere contaminata con l’orrore.

A questo proposito nel libro “Il regime bolscevico”, Richard Pipes sostiene che Stalin è un fedele discepolo di Lenin. Infatti i comunisti, sia i compagni di viaggio, che i simpatizzanti, ancora oggi negano qualsiasi legame fra i due dirigenti comunisti, “affermando che Stalin non soltanto non proseguì il lavoro di Lenin, ma lo distrusse”. Invece il testo di Pipes dimostra che Stalin già era al lavoro nei tre organi dirigenti del comitato centrale, mentre governava Lenin. Se ci sono differenze di vedute tra i due uomini, si riferivano alla rozzezza e l’impazienza caratteristici della personalità di Stalin. Una differenza c’era però che Lenin non uccideva altri comunisti, mentre Stalin lo faceva su larga scala. Comunque sia, “Stalin era un vero leninista, nel senso che seguiva fedelmente la filosofia e i sistemi politici del suo protettore. Tutti gli ingredienti di quello che è diventato noto come lo stalinismo, salvo uno, l’assassinio di altri comunisti, li aveva appresi da Lenin”.

Pertanto a Socci non rimane constatare che ancora una volta la sinistra, non fa davvero i conti con la propria storia.

 

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