“Dante in dialetto siciliano” di Ida Rampolla del Tindaro

Le celebrazioni dantesche  di quest’anno hanno ispirato un gran numero di pubblicazioni  dettate  anche dal desiderio di rendere accessibile o familiare la lettura di Dante a un pubblico sempre più vasto.  Sono apparse  anche opere destinate  destinato ai più piccoli, in tono perfino scherzoso, come il romanzo di Luigi Garlando Vai all’inferno, Dante!  o  Dante, il mi babbo,  di Chiara Lossani, o   La Divina Commedia raccontata ai bambini, di Anna Maria Piccione, in cui il poema è presentato in forma  narrativa e fiabesca. E’ apparso perfino un videogioco, “Dante’ s Inferno “…  Per non parlare dei fumetti,  come quello  di Marcello Toninelli usciti sul Giornalino , noto settimanale per ragazzi, o quello di Francesco D’Onofrio e Raffaele Posolu sulla vita di Dante, diviso su una parte scritta e una a fumetti, seguite da domande sulla comprensione del testo e da giochi di abilità basati sul personaggio e le opere.

 In  passato si  era però  cercato  di avvicinare al grande poema , in maniera divulgativa, anche  il pubblico degli  adulti, come dimostra un’antica pubblicazione, Catechismo dantesco , massime della Divina Commedia spiegate alla buona,  apparso nel 1860.  Ma  vi sono stati anche precedenti  illustri, come  l’opera di Ettore Janni, (che fu, oltre che critico letterario, anche Direttore del Corriere della Sera) il quale, in In piccioletta barca,  nel 1921 seppe dare alla divulgazione un autentico livello letterario. E la tendenza continua ancora oggi, con le opere di Enrico Cavarischia La Divina Commedia per tutti. Una spiegazione divulgativa  (2020) e di G.Domenico Mazzocato  Ti racconto la Divina Commedia (2021).

     Rispondono alle stesse finalità , ma spesso con notevoli  risultati poetici,  anche le traduzioni in siciliano  del poema fatte non solo  da esperti   ma anche da semplici amatori. Tra i primi bisogna anzitutto ricordare  Tommaso Cannizzaro, il celebre poliglotta messinese ( conosceva ben nove lingue) famoso per le sue composizioni poetiche in francese, che avevano riscosso il plauso perfino di Victor Hugo. Ma Cannizzaro attribuiva al dialetto la  stessa importanza  delle altre lingue, antiche o moderne. Proprio per questo era tanto ammirato dai Felibri, che in Provenza, sull’esempio di Mistral, volevano dare espressione letteraria alla lingua d’oc, divenuta ormai  una specie di dialetto, incitando il poeta messinese , e, successivamente, Alessio Di Giovanni, a fare altrettanto col  siciliano.  Cannizzaro diede a queste esortazioni la più alta risposta traducendo in dialetto siciliano la Divina Commedia: una traduzione  alla quale egli assegnava uno scopo preciso, come dice nella dedica: Ai Comuni di Sicilia / questa versione nel loro linguaggio collettivo / della visione Dantesca/ dedica il Traduttore /  perché la diffusione del Sacro Poema / nel popolo valga a rialzarne l’idioma la cultura lo spirito / e contribuisca mercé il Dialetto che iniziò il volgare illustre/ al più largo e sano sviluppo / della lingua Nazionale”.  E’ evidente, in queste parole, un ‘altra funzione attribuita al dialetto: quella di poter portare a una migliore conoscenza  e a un maggiore sviluppo della lingua nazionale. In questo, Cannizzaro si rivelava un autentico precursore : la sua idea sarà infatti ripresa da Luigi Natoli, il quale , nei suoi Esercizi di traduzione dai dialetti della Sicilia raccomandava ai maestri di tener presente che i suoi manuali ( erano infatti più d’uno) dovevano servire non ad insegnare il dialetto, che gli scolari conoscono già alla perfezione, ma ad insegnare la lingua per mezzo di esso”.

   Le traduzioni, specialmente di un’opera poetica,  hanno sempre destato perplessità: secondo il linguista Ramon Jakobson “la poesia è intraducibile per definizione”, e secondo il poeta Mario Luzi si tratta di “un’operazione quasi per principio deficitaria”[1]. La critica dantesca, poi, non ha mai visto con favore le traduzioni  in siciliano, muovendo, tra l’altro, una serie di rilievi alle espressioni dialettali che , come si sa, variano molto da una località all’altra della Sicilia, e che , nella forma poetica , possono anche risentire dell’influenza della lingua nazionale. La traduzione in dialetto  di un testo letterario, specialmente di altissimo livello, diventa,  secondo queste opinioni,  una fusione artificiosa che priva  il dialetto di una delle sue principali caratteristiche, la spontaneità e l’immediatezza.  Diversa l’opinione di coloro che, come il Cannizzaro e come i Felibri, consideravano  il dialetto una lingua capace di avere una sua dignità letteraria. Questa  traduzione della Divina Commedia va vista dunque come un  lavoro poetico, indubbiamente non facile, ma in cui il dialetto siciliano, anche se misto ad italianismi,  riesce a raggiungere effetti artistici.  Valgano, come esempio, le prime quartine del poema: Era di nostra vita a mità juntu / quannu ‘nton scuru boscu mi trovai/ pirdennu la via dritta, ntra ddu puntu / Quantu era bruttu a dirlu, è duru assai / st’aspiru boscu, sarvaggiu e spagnusu / e tremu a pinzarla comu ddha trimai. 

    Le traduzioni in dialetto , in occasione delle celebrazioni dantesche del 2021, stanno conoscendo però una nuova rivalutazione. In collaborazione con la Rete  italiana di cultura popolare, è prevista una maratona di letture della Divina Commedia dei diversi dialetti, che coinvolgerà tutta l’Italia, con testi forniti dal fondo Tullio De Mauro .  Ed è  da citare anche lo studio di Francesco Granatiero  La Divina Commedia nei dialetti italiani  [2] . Ma, per tornare al siciliano, un altro tentativo , meno noto, è quello di Filippo Guastella la cui traduzione  fu presentata al pubblico  a Palermo dall’Empire Club  nel 1993.  Quell’anno, infatti, il Comune di Bolognetta aveva ripubblicato questa versione  in siciliano della Divina Commedia , che, dopo la pubblicazione nel 1923, era caduta nell’oblio.  L’iniziativa si inquadrava in un’opera di  recupero delle tradizioni  promossa dall’allora sindaco Rino Greco, con una serie di volumi che, insieme alla  valorizzazione della cultura siciliana, rispondevano a nuovi criteri di apertura e di scambi  con altre nazioni: il Comune aveva infatti realizzato un gemellaggio con un paese spagnolo, e, in tale occasione, aveva distribuito a tutti gli  alunni di quel paese, Palma de Gandia, una copia dei Malavoglia tradotti in spagnolo, per consentire loro una migliore conoscenza di un’opera importante di argomento siciliano.  Un altro volume significativo pubblicato dalla Pro Loco fu Incontri ravvicinati – da Colombo agli Euroamericani , in occasione delle celebrazioni del V centenario della scoperta dell’America. L’opera, oltre a una raccolta antologica di studi su Colombo non facilmente reperibili, dava il dovuto risalto ai bolognettesi che si erano affermati nel Nuovo Mondo, tra cui Tommaso Bordonaro,  autore di un libro di memorie, La Spartenza,originale per l’impasto linguistico siculo-americano,  al quale una giuria formata da Natalia Ginzburg, Miriam Mafai e Corrado Stajano aveva assegnato il premio Pieve S.Stefano per la ”straordinaria narrazione, ricca anche di invenzioni linguistiche”.   

   Tra queste pubblicazioni, la ristampa della Divina Commedia tradotta in siciliano da Filippo Guastella  rappresentò, allora, un’autentica scoperta. L’autore, a differenza del Cannizzaro, non era un letterato di professione e non era certo conosciuto oltre i confini come il poeta messinese: apparteneva però anche lui a quella folta schiera di amanti della cultura mossi non da ambizioni letterarie ma da un grande amore per la lingua siciliana , per lo studio e per  la lettura. Ne è prova la significativa dedica da lui apposta al volume: Alle mie dilette figlie Nannina e Ninfa / dedico questo lavoro / lieta occupazione / delle lunghe sere invernali / a cui / attorno al focolare domestico / parteciparono / affinché si ricordino / della vita semplice onesta ed operosa / del padre / dedita alle cure della famiglia / al culto dei grandi.  Questo quadretto domestico,in cui il padre chiama le figlie a partecipare, intorno al focolare, alla lettura e traduzione di Dante, rivela il vero significato della “lieta occupazione” che è stata anche una gioia, un diletto, una nuova creazione poetica a cui il dialetto offriva , pur con qualche italianismo, tutte le sue risorse lessicali ed espressive.  Filippo Guastella , medico condotto di Misilmeri,  apparteneva a una famiglia di gente colta: era fratello, infatti, di Cosmo Guastella, il famoso filosofo docente di filosofia teoretica all’Università di Palermo  e attivo membro della Biblioteca filosofica di Amato Pojero. 

    Nato a Misilmeri nel 1862, Filippo Guastella si occupò anche attivamente dei problemi del suo paese: fu, infatti, tra i promotori del movimento cooperativo agricolo in Sicilia e fondò e diresse la Cooperativa agricola di Misilmeri. Scrisse anche un saggio sul colera a Misilmeri nel 1911, interessante, come nota l’avv. Santo Platino nell’introduzione a questa versione in siciliano della Divina Commedia, anche per la descrizione di usi e costumi della Misilmeri di un tempo.

   La passione e lo studio del traduttore sono evidenti anche   nelle Introduzioni che egli premette ai singoli canti: con un linguaggio di sapore arcaico e perfino aulico, Guastella espone l’argomento consentendo al lettore di comprendere in pieno tutti i riferimenti storici e culturali. Questo rivela lo scopo che certamente Guastella si prefiggeva: quello di far conoscere l’opera di Dante al maggior numero possibile di lettori,  ma soprattutto a quelli che non avevano fatto grandi studi e che potevano così accostarsi  al grande poema  attraverso un linguaggio a loro più familiare e comprensibile.  L’intenzione era dunque prevalentemente didascalica, ma era accompagnata da una innata  vena poetica e da una notevole preparazione culturale. L’intento , ai suoi tempi, era pienamente riuscito: il volume, in paese, era molto conosciuto, le cantiche erano oggetto di lettura familiare  e i versi in dialetto venivano citati anche nel linguaggio quotidiano come espressioni di verità sempre valide. Lo scopo di interiorizzare il messaggio di Dante era stato raggiunto, insieme al desiderio, suscitato da quella lettura,   di accostarsi al testo originale, altro scopo che il traduttore auspicava.  Anche in questo caso,  i primi versi del poema consentono di cogliere la particolare interpretazione linguistica dell’autore e la sua vena poetica: Juntu a metà di vita, una nuttata/ nta un voscu mi truvai spersu e cunfusu / sgarratu avennu la diritta strata: / lu stissu cha nni parru m’è pinusu / pensu a di macchi nivuri e puncenti ,/ e tremu di la testa a ghiri iusu. / Megghiu la morti e no ssi patimenti:/ ma a chi ci sugnu, oltre di li guai,/ di lu beni ch’asciai vi fazzu scienti.   L’opera fu anche premiata dal   Ministero dell’Educazione Nazionale e si distinse anche per l’accurata veste tipografica, arricchita dalle illustrazioni di un noto artista siciliano, Biagio Governali.    La traduzione è stata  ripubblicata nel 2009, destando  ancora una volta l’attenzione e l’interesse degli studiosi.

In tempi più  recenti sono apparse altre traduzioni in siciliano della Divina Commedia , tra cui è degna di menzione  quella di Giovanni Girgenti ( 1896-1979), pubblicata  nel 1954 e dedicata  “Ai Siciliani sparsi in tutto il mondo”. Dalla cerchia paesana lo sguardo si allarga ora ad orizzonti internazionali,  a quella diaspora siciliana ormai presente ovunque , che costituisce una nuova realtà di cui tener conto. Ma  in tutti i paesi,   oggi , si cerca di riscoprire e rivalutare le radici: ne è prova, anche a proposito di Dante, il progetto “Petralia chiama, il Festival”, un progetto di rigenerazione urbana con attività multidisciplinari che coinvolgeranno tutta  la comunità locale. Tra le tante attività previste, vi sarà la declamazione, da parte di studenti madoniti coordinati dalla locale Compagnia del Teatro della Rabba, della Divina Commedia tradotta da  Giovanni Girgenti , che fu anche un commediografo di successo,  direttore della compagnia filodrammatica  “Arcobaleno siciliano”  e autore di una quarantina di lavori teatrali rappresentati da grandi interpreti del teatro in lingua siciliana  come Rosina Anselmi, Umberto Spadaro e Turi  Pandolfini.   Girgenti  tradusse inoltre in siciliano   anche l’Eneide e i Sepolcri e  fu autore di un vocabolario siciliano-italiano che attesta la sua competenza linguistica.  Questa, unita alla sua cultura classica , alla sua formazione accademica e alla sua vena poetica, rendono particolarmente pregevole la sua versione in dialetto della Divina Commedia, di cui riportiamo ancora una volta le prime terzine: Di nostra vita a la mità di strata / io mi truvai dintra ‘na terra scura / avennu già la dritta via sgarrata. / Ah quanta a discrivillu è cosa dura / ‘stu voscu ‘ntricatizzu ed aspru e forti / ca a pinsallu mi torna la paura! / Tantu è l’amaru, ca è pocu cchiù la morti; / ma a dimustrari zoccu nn’accanzavi / tant’autri cosi vi dirò ddà scorti.  Il confronto tra le tre diverse versioni di queste famose terzine mostra già non solo la ricchezza linguistica del siciliano, capace di rendere  in modo diverso le varie sfumature del testo, ma anche le capacità poetiche di questi tre autori , profondamente diversi tra loro, ma tutti capaci di padroneggiare poeticamente una lingua che già ai tempi di Dante aveva una sua dignità letteraria, riconosciuta dallo stesso sommo poeta.

 

[1] R.  Jakobson – Aspetti linguistici della traduzione -  1969 ( Il Verri, pp.98-106);   W3M.Luzi – Riflessioni sulla traduzione,  in La traduzione del testo poetico,  a cura di F.Buffoni, Milano, 2004, p. 51

[2] In Dante,  XIV, 2017, pp.93-112.

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