“Benedetto Croce metapolitico” di Ferdinando Bergamaschi

All’affermazione che Benedetto Croce sia un estraneo della politica, si può integrare, come riteniamo sia giusto, la considerazione che egli fu un grande metapolitico. Lo fu in quanto, da idealista, fece sempre valere le sue ragioni nei confronti della politica, ed egli operò direttamente sulla politica sia durante i governi prefascisti, sia durante il governo fascista, sia durante i governi postfascisti. Vediamo brevemente come. Durante la battaglia fra neutralisti e interventisti che animò la vigilia della prima guerra mondiale egli aderì al neutralismo e fece ciò avendo profonda comprensione per le posizioni interventiste. Fu ministro dell’Istruzione Pubblica durante il quinto governo Giolitti elaborando peraltro una riforma della scuola che fu portata poi avanti ed ulteriormente elaborata dall’amico-nemico della sua vita, Giovanni Gentile. Fino a qui nulla di particolare  dato che il quadro in cui operava il filosofo abruzzese di nascita e napoletano d’adozione era quello dello stato liberaldemocratico, quindi egli, a prescindere dalle correnti che operavano in seno alla liberaldemocrazia, era nel suo elemento. Ma una prima situazione di rottura egli la vive con l’avvento del fascismo che mette in discussione l’assetto liberale. Egli dapprima concede fiducia a Mussolini e al suo movimento, vedendo il fascismo come un “ponte” tra un precedente liberalismo troppo debole e un futuro liberalismo rinnovato e più vigoroso: il fascismo quindi come breve epoca di transizione durante la quale Croce auspicava di guadagnare a sé Mussolini in questo progetto, avendone colto il grande talento politico, estraendolo fuori dai fascisti intransigenti. Ma fu il delitto Matteotti che ruppe questa strategia. In un primo momento il Nostro votò ancora, coraggiosamente, la fiducia al governo Mussolini il 24 giugno 1924, pochi giorni dopo la morte del deputato socialista, ritenendo che fosse ancora possibile l’attuazione della sua idea strategica. Fu solo nella primavera del 1925, quando infine capì che la svolta autoritaria del fascismo era definitiva, che egli ruppe una volta per tutte col movimento di Mussolini e, consigliandosi con un liberale di sinistra di grande spessore come Giovanni Amendola, decise di rispondere al Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile con il suo Manifesto degli intellettuali antifascisti. Croce diede un segno molto forte, quindi, a tutto il liberalismo italiano, sia a quello che aderì al fascismo, sia a quello che non vi aderì: un segno che ebbe grande incidenza nel futuro: un segno quindi metapolitico. Inoltre diede un forte segno quando criticò i Patti del Laterano e naturalmente quando criticò le leggi razziali.

Poi, dopo l’8 settembre, ci fu il suo secondo impegno nella politica. Egli, infatti, fu ministro senza portafoglio sia nel secondo governo Badoglio sia nel secondo governo Bonomi (dal quale uscì quasi subito). Ma dove soprattutto si può comprendere la sua vocazione metapolitica è nella sua concezione del Partito Liberale. Croce, infatti, che ne fu tra i ricostruttori, concepiva tale partito come un “pre-Partito”, il che nella pratica significava che il Partito Liberale si creava lo spazio per appoggiare quello o quell’altro partito (o partiti) che avessero potuto più contribuire a raggiungere la meta che il liberalismo italiano si prefiggeva. In fondo crediamo che la metapolitica sia proprio questa: agire intellettualmente e moralmente sulla politica senza sporcarsi con essa. A questo scopo egli rinunciò alle cariche del più alto grado propostegli da comunisti e socialisti, tramite Nenni (che gli chiese di diventare Capo provvisorio della Repubblica Italiana), democristiani, e persino da un liberale stesso nella persona di Luigi Einaudi (che gli chiese di diventare senatore a vita). A proposito di Einaudi, come non ricordare il dibattito leale ma polemico tra lui e Croce che possiamo sintetizzare così: per l’economista piemontese liberalismo poteva coincidere con liberismo, libertà con libertà economica; per il filosofo partenopeo invece il liberalismo andava “protetto” non tanto dal liberismo in sé quanto da ciò che, celandosi dietro a esso, cavalcava il liberismo e cioè il capitalismo: capitalismo inteso quindi come oppressione tramite il capitale della libertà altrui e non come via economica di libero mercato e di raggiungimento di onesto profitto individuale. Da questa considerazione si può dedurre che il vero liberismo (concorrenza, libero mercato, onesto profitto) sia nemico del capitalismo (monopolio e oligopolio).

Infine vogliamo ricordare che Benedetto Croce era di vedute così aperte e lungimiranti che fu il primo italiano ad introdurre Georges Sorel nella cultura italiana. Croce infatti scrisse una Introduzione di alto livello a uno dei libri più importanti del Sorel: Riflessioni sulla violenza (nell’edizione del 1909, pubblicata da Laterza, Bari). Croce capì subito l’importanza, in seno al mondo socialista ma più in generale da un punto di vista universale, del pensiero del filosofo francese il quale, pur rimanendo non solo nell’ottica socialista ma persino in quella della lotta di classe (benchè concepita non più in modo ottusamente materialistico ma come una “mistica” della lotta di classe), ruppe con il marxismo e i suoi schemi dando valore trascendente, idealistico e persino mitico alla figura del lavoratore e leggendo in chiave spirituale e non materialistica la storia. Da ciò si capisce anche perchè Sorel fu maestro di Mussolini il quale rivendicò sempre il suo debito nei confronti del filosofo francese tanto che il socialismo del Duce sarà per tutta la sua vita impregnato di sorelismo.

Dunque non vi è da stupirsi se un grande idealista liberale come Croce comprendesse bene un grande idealista socialista come Sorel: è il normale e fecondo incontrarsi e compenetrarsi di idealismi di diverse correnti.

 

 

 

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