Fine di un monopolio (ingiustificato). Oltre all’ANPI c’è di più – di Mario Bozzi Sentieri

L’antifascismo ha tanti volti. Come ebbe a scrivere, in “Quale Resistenza?” (Rusconi, 1977), Sergio Cotta, docente universitario di orientamento cattolico e comandante di una brigata partigiana: “… l’antifascismo di Matteotti non è certo quello di Gramsci e Togliatti; l’opposizione dell’Aventino non s’identifica con quella di Giolitti; l’antifascismo di don Sturzo non coincide con quello di Bonomi o di Serrati. Così pure, sul piano culturale, l’antifascismo di Croce non è quello di Gramsci o di Rosselli”.

Da questo punto di vista parlare di antifascismo democratico-cristiano, di antifascismo azionista, di antifascismo comunista, di antifascismo socialista, di antifascismo liberale, significa verificare, nel concreto dell’agire politico e nel manifestarsi delle diverse classi dirigenti, quelle distinzioni e contraddizioni “di sostanza”, che possono aiutare a superare ogni visione falsamente unitaria dell’antifascismo. A cominciare dalle esperienze della guerra partigiana, la quale fu vista e vissuta come guerra di liberazione nazionale (contro l’invasione dello straniero, ex alleato) e guerra civile (contro i fascisti). Fu guerra politica (viste le diverse componenti partitiche del CLN) ed ideologica (contro i nemici “di classe”, non necessariamente fascisti, ma anche borghesi, cattolici, liberali).

In quest’ottica la presa di posizione del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, il quale ha rotto il “monopolio” dell’ANPI a rappresentare nelle scuole italiane le varie anime della Resistenza, apre uno squarcio significativo nel clima di conformismo che ha segnato, per decenni, l’approccio al tema.

Ben vengano perciò le altre associazioni combattentistiche a dire la loro sul biennio,  drammatico e contraddittorio, che ha segnato l’Italia tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. A portare, nelle scuole,  testimonianze e sensibilità diverse, per troppi anni taciute o sottovalutate.

Queste “distinzioni” emergono, in modo netto e drammatico, da molti episodi della guerra civile, nei quali l’idea dello scontro  “di classe” fu condotto spregiudicatamente dalle bande partigiane di estrazione comunista, al punto da colpire i componenti dei raggruppamenti antifascisti di orientamento cattolico, monarchico e liberale, e sono rimarcate dall’azione e dall’esempio di figure emblematiche dell’antifascismo non comunista.

Pensiamo al cattolico  Aldo Gastaldi, nome di battaglia “Bisagno”, primo partigiano d’Italia e medaglia d’oro della Resistenza, scomparso, in modo misterioso,  a seguito della sua caduta dal tettuccio del camion su cui viaggiava, di ritorno dal Veneto, dove aveva accompagnato alcuni partigiani   provenienti dalla Divisione della Rsi “Monterosa” (Giampaolo Pansa gli  ha dedicato il libro Uccidete il comandante bianco. Un mistero nella Resistenza, Rizzoli, 2018). Ricordiamo  un liberale come Edgardo Sogno, capo partigiano e rappresentante di una Resistenza “non ideologica”, vissuta – egli scrisse – “per motivi di libertà e di dignità umana”. Ed ancora  Alfredo Pizzoni, dirigente  del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia,  “antifascista, ma patriota di vecchio stampo” – come lo definì Renzo De Felice, fatto oggetto di una vera e propria epurazione ed estromesso da qualsiasi carica politica dopo l’aprile 1945.

Centinaia di episodi, di figure emblematiche, accantonate in nome del “pensiero unico” resistenziale, verso le quali  è tempo di rendere omaggio, nel segno di un pluralismo resistenziale per troppi anni dimenticato.

Non a caso l’iniziativa di Valditara  è stata accolta con favore da diverse associazioni, tra cui l’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani. Secondo Cristina Olini, vice presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani, l’ampliamento della convenzione è una “scelta ottima”:  l’apertura a più organizzazioni significa un’opportunità per “riunirsi in comune accordo” e garantire che “tutte le voci della Resistenza siano rappresentate”, nella misura in cui – come sottolinea Olini - la Resistenza non è stata portata avanti solo da un gruppo. Al contrario, cattolici, repubblicani e clero hanno avuto un ruolo attivo.

A confermarlo anche la “parcelizzazione” dell’associazionismo partigiano: dalla Federazione italiana volontari della libertà (FIVL), nata nel 1948, per associare  l’area cattolica, militare ed autonoma (ne fu presidente anche Enrico Mattei) alla  Federazione Italiana Associazioni Partigiane (FIAP)  fondata nel 1949 con l’obiettivo di  valorizzare il contributo portato alla lotta di Liberazione dal socialismo liberale di Giustizia e Libertà, dal Partito d’Azione e dall’antifascismo liberal-radicale. 

Insomma tante voci e tante figure che ci riconsegnano un’immagine plurale della Resistenza, ben lontana dalla visione “a senso unico” dell’ANPI e dal suo collateralismo politico.

Al fondo la necessità della ricomposizione morale e storica della Nazione, lacerata dagli odi e dalle fazioni, anche – non sembri un paradosso – nella memoria partigiana. La Nazione è memoria, ma la memoria è condivisione, cioè superamento non tanto delle singole appartenenze quanto della difficoltà preconcetta a comprenderle, analizzarle, collocarle all’interno delle vicende nazionali. Ben venga, in questa ottica, l’iniziativa antiideologica del ministro Valditara.

 

 

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