“La sua opera mi strega” di Anna Maria Esposito

Ammiro gli Artisti incondizionatamente.

 C'è qualcosa in loro che amo come la vita, e comprendo.

Ed è la connessione con l'Infinito. Lo comprendo ma non so esprimerlo a parole. Restano soltanto alcuni cenni, come colature di inchiostro.

In piccoli corpi, forse comuni, si nascondono le porte, come stargates.

Porte o finestre, oculi, dai quali l’anima si affaccia -tetti di cristallo- attraverso i quali lasciano entrare il Tutto. Ovviamente queste definizioni non si attagliano a tutti. Alcuni imbrattatele, o imbratta-spazi. Altri, invece, misteriosi.

Com’è possibile che in quelle mani, in quel pensiero, si nasconda tutta quella ricchezza?

 Lo ricordiamo tutti: nel 1969 Nixon parlava, attraverso un complicato sistema radio ed una miserabile, comune cornetta telefonica, con gli astronauti nel nostro prossimo spazio, la luna. Quella cornetta telefonica mi sembra metafora di alcuni artisti. Essi ci rivelano sciabolate di eternità, che vedo ma di cui non comprendo il mistero.

 La Dea Madre, la Regina del Caos: divinità di un mondo altro, inspiegabile a parole. Eppure un artista prende una tela, la mette davanti a sé ed inizia la magia. Distende i primi tratti di matita e nasce l'idea complessiva.

La mente si apre, e concepisce linee e spazi. Poi, urgono i materiali. Cosa usare? Soltanto acrilici, o stoffe, o carte, oppure smalti, inchiostri, olii, acquerelli? Di quante parti è fatto il racconto? E il nome poi cambia, ed ormai l'Arte si è impossessata dell'artista. Tutto gli sfugge di mano, purché attorno ci sia il silenzio. Adesso è  lui con il Mondo. Il cosmo si degna di guardarlo, osserva il suo silenzio, e decide di fargli dono di uno spiraglio. Come Montale,  attraverso lo spiraglio, vedeva il cosmo, (la solarità del giallo dei limon)i, così Mandalà entra nella porzione di Cosmo a lui riservata.

Essa lo travolge. Deve soltanto completare, adesso è ineluttabile. Inchiostri, strappi, racconti. Il supporto resta ciò che era o cambierà? Da artista che era, adesso  diventa un atomo del Tutto. Il Tutto che ci sovrasta.

Io non comprendo l'agitarsi, sotto il nostro cielo, gli esseri umani affamati di denaro, di violenza, di indifferenza, di male. Affamati di disobbedienza e di crudeltà. L’artista, nel frattempo,  prosegue il suo sogno. I colori devono essere sempre in contrasto, per poi  emergere nella loro purezza.

È  un figurativo, Damiano; però ha compreso che la figura umana è un mezzo per raccontare la nostra storia, e la storia è un affastellarsi di miti che abbiamo creato nel tempo e che necessitano per spiegare la nostra fame di tutto.

Affascinato dalla natura, la bellezza splendente dei pesci, i tramonti e le albe sanguinolenti, piante amate e taciturne, fanghi ed acqua e palustri da cui potrebbe emergere qualunque cosa, e le colonne del Mondo, gli alberi, che raccordano la materia allo spirito, crescono da aggrovigliate radici per diventare saette indicatrici dell'Alto e, allo stesso tempo, palizzate che separano il nostro spazio materiale da uno spazio altro, inconoscibile.

Con fatica i suoi personaggi si espongono al nostro racconto, e poi, improvvisamente, si rivelano a noi, come divinità, come folla ansimante alla ricerca di nutrimento ed il nutrimento sarà l'aria incredibilmente limpida o l'odore del sesso, attrazione primordiale che cede tutta la sua forza per trasformarli in immortali.

 Come non rimanere incantati davanti alle porzioni iterate di racconti infiniti e comuni? Ognuno di noi può trovare, in un'opera di Damiano Mandalà, il ricordo di qualcosa di sé: uno sguardo blu, una silhouette, una stella nella notte, la fame di latte del neonato, i vetri delle finestre attraverso cui guardare, il lucore di quell'onda dispersa nel tempo,  nella notte dei tempi o  nel futuro. Di questo artista si potrebbe scrivere per ore, ma più utile al nostro bene è  ammirare le sue opere, per lasciarsi accarezzare da quelle pennellate o da quello strappo, o lasciare ancora che quello sguardo vuoto ci disveli ciò che è dentro noi e noi ignoriamo.

Ecco cos'è l'opera di Damiano:

non siamo noi a guardarla ma è ogni sua creatura, dinanzi a cui ci poniamo, che getta su di noi il suo sguardo e ci indaga, portando alla superficie pensieri a noi stessi inconosciuti.

 Un' enciclopedia del tutto, perché tutto ha spazio nella sua pittura.

Bisogna soltanto lasciarsi andare a seguire lo sguardo finalmente privo del sé, seguirlo nel luogo dove tutti i nostri intelletti infine si incontreranno.

Anna Maria Esposito, per Damiano Mandalà.

 

 

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