UNA BREVE RIFLESSIONE SULLE PAROLE DI DETTICH BONHOEFFER

In questo momento di barbarie, in questo tempo che ci mette davanti furori spropositati e posizioni di estremo disprezzo civile di fronte ai quali ci sentiamo sperduti, inermi e destabilizzati, vorrei ricordare la figura di un teologo tedesco di fede luterana, Dietrich Bonhoeffer, la cui posizione ideologica, religiosa e civile, potrebbe illuminarci sui pericoli e le conseguenze di una società che non riconosce i veri valori etici, morali e spirituali. Siamo affondati nella volgarità, nell’indistinto flusso dell’individualismo esercitato per smania di potere, nella melma di atteggiamenti e azioni senza “qualità”. Come potremmo salvarci se non operando una riconversione di stile e di prospettiva? “Siamo en­trati in un tempo nel quale il pensiero non può più es­sere il lusso dello spettatore, ma deve porsi interamente al servizio dell’azione” [...]. Sono parole di Bonhoeffer, che nel suo breve percorso esistenziale fu a servizio non solo della dottrina di fede ma anche del senso di giustizia civile e morale, sollecitando la stessa chiesa evangelica a prendere posizione in quei casi di sopraffazione e di abuso esercitati sul popolo. “L'essenza dell'ottimismo non è soltanto guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, il futuro lo rivendica a sé.”

Bonhoeffer nasce il 4 febbraio del 1906 a Breslavia, allora città della Germania, in una famiglia dell’alta borghesia berlinese, il padre Karl professore della facoltà di psichiatria e neurologia dell’Università di Berlino, la madre Paula una delle poche donne tedesche del tempo in possesso di una laurea. Dietrich sceglie di studiare teologia,  in contrasto con la posizione laica e scientifica dei suoi familiari, e si laurea nel 1927 discutendo il celebre testo “Sanctorium Communio” (La Comunione dei santi), dedicato alla chiesa. Inizia quindi ad insegnare all’estero: Barcellona, New York, dove frequenta le chiese delle comunità afroamericane di Harlem, e Londra. Nel 1931 torna a Berlino per insegnare all’Università e, due giorni dopo la presa del potere da parte di Hitler, tiene via radio una conferenza nella quale esprime quello che dovrebbe essere il concetto di “guida del popolo”. “Se il Capo permette al seguace che questi faccia di lui il suo idolo, allora la sua figura si trasforma in quella di corruttore…Il capo e la funzione che vengono divinizzati scherniscono Dio”. In seguito all’estromissione degli ebrei dai pubblici uffici, è uno dei primi che affronta la questione con la conferenza “La chiesa di fronte al problema degli ebrei”, nella quale, pur riconoscendo allo Stato il diritto legislativo delle proprie decisioni, sostiene che la Chiesa ha il dovere di responsabilizzarlo. Se la chiesa vede che lo Stato eccede essa ha l’obbligo di intervenire, “non soltanto di fasciare le vittime cadute negli ingranaggi della ruota, ma di arrestare gli ingranaggi stessi”. A causa della sua posizione nei confronti del nazismo, nel 1939 Bonhoeffer va ad insegnare negli Stati Uniti, che lascia allo scoppio della guerra per condividere la sorte del suo popolo. Il suo impegno per la sensibilizzazione della chiesa evangelica sul fronte del nazismo lo porta a creare assieme ad una minoranza il gruppo della Chiesa Confessante, ma di fronte alla persecuzione da parte del potere si unisce ad un gruppo clandestino all’interno dei servizi segreti tedeschi. Dopo un fallito attentato contro Hitler nel luglio del 1944 viene arrestato e rinchiuso nella prigione di Berlino, quindi trasferito nel campo di concentramento di Buchenwald e infine in quello di Flossenburg, dove viene impiccato. Questa, in sintesi, la biografia del teologo, ma quello sul quale mi voglio soffermare è il suo pensiero e a tale proposito voglio riportare alcuni stralci dei suoi scritti:

 (…) “Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l'istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell'uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell'atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane – ad esempio quelle intellettuali – ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall'ostentazione di potenza, l'uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente ma con slogan, motti ecc. da cui egli è dominato. È ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potrebbero essere rovinati per sempre.

Noi ci troviamo al centro di un processo di involgarimento che interessa tutti gli strati sociali; e nello stesso tempo ci troviamo di fronte alla nascita di un nuovo stile di nobiltà che coinvolge uomini provenienti da tutti gli strati sociali attualmente esistenti. La nobiltà nasce e si mantiene attraverso il sacrificio, il coraggio e la chiara cognizione di ciò cui uno è tenuto nei confronti di sé e degli altri; esigendo con naturalezza il rispetto dovuto a se stessi e con altrettanta naturalezza portandolo agli altri, sia in alto che inbasso. Si tratta di riscoprire su tutta la linea esperienze di qualità ormai sepolte, si tratta di un ordine fondato sulla qualità. La qualità è il nemico più potente di qualsiasi massificazione. Dal punto di vista sociale questo significa rinunciare alla ricerca delle posizioni preminenti, rompere col divismo, guardare liberamente in alto e in basso, specialmente per quanto riguarda la scelta della cerchia intima degli amici, significa saper gioire di una vita nascosta ed avere il coraggio di una vita pubblica.
Sul piano culturale l’esperienza della qualità significa tornare dal giornale e dalla radio al libro, dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte, dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura.
Le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda.”

 

 

 

 

 

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