"Tommaso Romano in "Poeti in e di Sicilia" (Ed. Prova D'Autore)" di Mario Grasso

a cura di Mario Grasso
 
Cominciamo dando la parola allo stesso Poeta: “La solitudine mi è com­pagna, così come la Poesia e in lei mi rifugio e mi indago interrogando la mia anima (...). L’arte, l’editoria, gli studi di estetica, ogni strada ho percorso cercando di superare il mio tempo, rompendo gli schemi. Hilman e Marinetti, Zoja e Vico, San Tommaso e Guénon, Evola e Nietzsche, Seneca e Platone, tutto in me si mischia e lavora edificando nuove strade di conoscenza. Mi nutro di libri, del loro odore; compagni di viaggio, amanti da accarezzare amorevolmente in un incessante andare. E su pagine sapienti di storia, ascol­to le note di Mahler, Haydn, Brahms, Dvorak nel lento procedere della mia esistenza...”. Quindi riportiamo dallo stesso volume (AB INITIO a cura di Francesco M. Scorsone) una fulminante scheda d’identità dello stesso Roma­no, scritta da Giusy Lombardo: “In Tommaso Romano il rapporto con l’arte in tutte le sue espressioni - dalla pittura alla scultura, dall’achitettura alla musica - è destato da una compresenza costante e sorprendente con la sua stessa esistenza. Infatti, accanto alla pratica della poesia intesa come universo veritativo, alla ricerca storica e letteraria, alla saggistica, alla cura delle bio­grafie e alla narrazione, l’arte pittorica è sempre stata centro di riferimento per l’intellettuale palermitano (...)”: “l’anima veglia / e senza alcuna fretta / scruta e rimanda / ancora la consuetudine / all’aurora / sempre colma di speranza (...)”. Ed ecco l’ouverture del canto lirico di un poeta che colma di significati i segnali del proprio pellegrinare umano. Lo citiamo ma potevamo rinviare ai versi senza ripetere l’incipit di questa scuotente occasione che ci ha elargito Tommaso Romano, inedita e coeva rispetto, alla nostra richiesta. Ma volevamo dare ulteriori evidenza al momento conclusivo di questa stessa silloge, intanto esclusivamente destinata a “Poeti in e di Sicilia”, quando la Veglia dell’Anima, ritorna per un suo composto svolazzo di saluto conclusivo: “(...) Il solitario che veglia / alla pena / senza apparente speranza.” E allora avremo inteso bene quanta realtà preme in consapevolezze nel poeta che con questa sua ennesima prova, porge un saluto dal treno in corsa della Lettera­tura come vita, e quindi della poesia come diagramma dell’Anima. Tommaso Romano scrive da sempre per gli scaffali alti, ma la sua formazione cristiana di straordinaria solidità, rimane costantemente protetta dalla altrettanto pru­dente scelta dell’Autore, il quale non alza mai la voce, non formula locuzioni parenetiche, ma ricorre allo sgomitare delle proprie umane ansie esistenziali per raccontarsi, ed esorcizzarle, per dire a ciglio asciutto, anche quando il vibrare subliminale è pianto.
È l’algebra della scrittura creativa di un grande poeta, quella di trasfor­mare un grido dettato da sconforto in carezza lirica di speranza, che la poesia trasforma in teorema di vita. Orbene, si terrà presente che Tommaso Romano è uomo di scienze e di scienza e si terrà presente la sua militanza nella real­tà sociale del proprio tempo con alte cariche di responsabilità, gestite con specchiata trasparenza, dedizione umana e competenza. Ma si terrà presente per potere aggiungere ai valori del docente, del letterato, del pensatore, come del politico pronto al servizio sociale come missione, una nota che torna a esclusivo vantaggio della ricchezza della sua poesia. E si tornerà a quella “consapevolezza” che è il sostrato del tutto, di cui il poeta scopre i chiodi in­sanguinati, con metodo spontaneo e maieutico a favore della speranza, contro ogni schiamazzare di paure, vanità, tragedie e turbolenze: “I sepolcri, poi, / hanno destino certo: / disinumati dopo un soffio / per civica ordinanza; / nep­pure la livella / - mio caro De Curtis - / regge l’equilibrio della morte / a chi i monumenti / a chi, forse, / gli ossari sbriciolati”.
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