Recuperi/8 - “Paco, l'impareggiabile” di Nino Agnello

Il mio nuovo personaggio si chiama Paco, che per via di assonanze e con­sonanze può rimare con pacco, pico, poco, brago, drago, lago, luogo, lego, e quindi proprio per questa sua versatilità non significa nulla, non avendo una sua identità peculiare, un suo significato specifico.
Paco può essere un nome o un nomignolo sudamericano e quindi diffuso e presente in moltissime località ispano-latino-americane e perciò universale o quasi.
Paco non ha una professione specifica, non esercita un particolare me­stiere; però s’intende di tutto, sa fare tutto, perché molto duttile, aperto a tutte le esperienze, disposto anche ad un minimo sacrificio pur di conseguire un massimo profitto o traguardo o scopo più o meno esplicito che sia. Sembra in tutto ciò disinteressato, mentre cela bene, nasconde benissimo uno scrigno d’in­saziabile interesse egoistico e un amore per se stesso ai limiti del narcisismo.
Egli da solo non conta, non fa né numero né forza, ma nella “squadra” sì che conta e fa per due per tre per quattro, a seconda delle necessità oggettive e soggettive. Vive nella e per la squadra, dentro un eterno alone di mistica de­dizione e spersonalizzazione: si annulla in essa per ritrovare un briciolo, una piuma di una sua inafferrabile consistenza.
Paco ha opacizzato il suo “ego” per illuminarsi della vivida luce del “nos”: per lui non esiste il “mio” ma il “nostro”. Lui, nei momenti di massima lucidità, osa affermare che “io” è un singolare “maiestatis” mentre il “noi” è plurale “humilitatis”. Così, con l’annullamento della sua personalità, Paco ha recupe­rato l’idea di una identità collettiva, pluralistica avendo dato tutto se stesso alla maestà della squadra, unica voce oggi di socialità sopravvissuta nella inarre­stabile deriva o frana crisi perdita scomparsa dell’idea di “societas”, di “par­tito”, di “coalizione”. Tutte queste denominazioni, per l’intelligenza di Paco, si sono svuotate di valore e di consistenza, perché l’uomo, l’ingordo cittadino della città smarrita, volendo appropriarsi di tutto, ha perduto proprio tutto: l’idea del mio e del tuo, del privato e del pubblico, del diritto e del non lecito.
Oggi Paco riconosce diritto di esistenza solo alla squadra, unica entità va­lida e valevole per un agire ancora legittimo. Che equivale poi ad un’associa­zione di pochi eletti, che si dichiarano capaci di fare tutto per il bene di tutti.
Chi sono questi “tutti”? Tutti coloro che non hanno niente da perdere e tutto da guadagnare, dentro una rosata atmosfera di angelico altruismo, socia­lismo, statalismo, federalismo, universalismo e pure regionalismo e provincia­lismo. Ma dentro questi dilatati e slabbrati contenitori, unico contenuto salvifico è la squadra, che qualche geloso passatista ora definisce “societas ad delinquendum”.
Ma poiché, grazie alla elevazione oggi raggiunta, il latino né più si parla né più si capisce, l’infausta definizione cade nel vuoto; così è assolta la squadra con tutti i suoi fedelissimi sostenitori da ogni possibile maldicenza.
Anche Paco è assolto, anzi è il puro, il mai accusato e il mai condannato, perché è il vero inafferrabile. Avendo rinunziato ad ogni sua fissa identità, è così mutevole che istintivamente diventa l’innocente assoluto. La vera perso­nalità impersonale. L’innocuo assoluto, assolutamente incapace di nuocere o di agire in corrispondenza al significato di questo verbo.
Per tutto questo, Paco è il soggetto sociale più nuovo, più moderno che possa esistere. Ha distrutto la fissità del nome e dell’identità, per ritrovare una mobilità indiscutibile. E’ il personaggio fluido per eccellenza, proteiforme si sa­rebbe detto nel passato degli uomini colti.
Anche al “verso” ha dovuto rinunciare il suo autore, essendo il verso una misura inamovibile ed essendo possibile essere accusato di usare col verso una identità rigida e fissa, quindi non più accettabile, non più consona alla fluidità della nuova civiltà non dell’essere ma del divenire.
Nuovo strumento, dunque, è la prosa, quella aperta e duttile, non specia­listica e non più di autore, ma una prosa che si fa da sé, fluida ed a-morfa, aperta e nuova e quasi, per eccesso di modernismo, una comunissima cineseria del più squallido quartiere del più squallido aggregato urbano e periferico di oggi. Un oggi senza data fissa.
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