Profili da Medaglia/29 - "Silvano Panunzio" di Tommaso Romano

Nato a Ferrara nel 1918, morto a Roma nel 2010.
Appartenente a un’antica famiglia marchionale, ricevette la sua prima formazione dal padre, Sergio Panunzio, maestro di Filosofia e di Diritto, rettore d’Università, statista. Fu allievo, per la filologia e l’esegesi biblica, di Eugenio Zolli. Fu condirettore di “Pagine libere” e redattore della rivista fiorentina “L’Ultima”, fondata da Adolfo Oxilia e Giovanni Papini. Fra le sue varie collaborazioni è da segnalare quella alla rivista salisburghese di Teologia e Scienza delle religioni “Kairòs”, del cui Consiglio scientifico fece parte. Fu membro del Circolo di Ricerche Simboliche dell’Università di Heidelberg e redattore dell’Annuario Bibliografico di Simbolismo, Iconografia, Mitologia, edito a Baden-Baden.
Dopo un trentennio d’insegnamento filosofico, storico e giuridico nelle Università e nei Licei Classici, si ritirò per dedicarsi esclusivamente all’elaborazione di un’opera dottrinale in più volumi. Fra i suoi scritti principali, pubblicati sin dal 1939, citiamo: Il misticismo di S. Francesco; Morte e Resurrezione d’Europa; Difesa dell’Aristocrazia. Il Cristianesimo come aristocrazia sociale; Tradizione Oriente e Sacra Scrittura; Il reincontro Cristianità-Islam; Vecchia e nuova cosmologia; La sintesi delle analisi cosmologiche; La Monarchia corporativa; Roma, pseudo-Roma, anti-Roma; Escatologia della Storia; Lo spiritualismo storico di Luigi Sturzo; Cristo e l’India; Contemplazione e simbolo. Summa iniziatica orientale-occidentale; Il simbolismo di Rita (disegno inedito della mistica rosa di Roccaporena), Thule, Palermo (1993); con Giulio Palumbo Inno a Maria Corredentrice. Il Mistero metafisico di Maria “vera Dea e vera Donna”, Thule, Palermo (1994).
Nel mio personale Ideario (prendo a prestito il titolo di un robustissimo e interessantissimo volume collettaneo sui fondamenti della cultura libera, splendidamente curato da Gennaro Malgieri) non può certo mancare Silvano Panunzio, il suo ricordo vivo, la sua esemplare dotta e lucente missione intellettuale, spirituale e metapolitica.
Un maestro difficile, a volte impervio, ma un vero sapiente.
Figlio di Sergio (ben noto filosofo del Diritto), teorico del sindacalismo politico sulla scia di Filippo Corridoni e operante fra le due guerre, Silvano visse quel clima nell’avvio degli studi condotti sempre con passione, dedizione e intimo raccoglimento.
Tutta la sua operosa esistenza, intrisa di sapere integrale, si svolse all’insegna e secondo il motto benedettino ora et labora, che applicava a se stesso anche come Oblato e amico di spiriti magni e, nell’ambito dei padri di San Benedetto, con il dotto padre Agostino Zanoni.
A Panunzio, studioso esemplare del simbolo, filosofo e non storico della filosofia, fautore della verità perenne, si deve la più coerente proposizione del secondo Novecento, della Metapolitica, intesa come Arca, folgore, lancia e come grado superiore, metafisico, trascendente, rispetto alla realtà “politica” della Polis. S’impegnò diuturnamente a scriverne tanto, con un linguaggio poematico nei suoi libri e nella sua bella e austera Rivista del regno Universale “metapolitica”, che appunto fu vivaio e transito di belle intelligenze, da Rodolfo Gordini a Giovanni D’Aloe, da Gorlani a Fausto Gianfranceschi (che lo ebbe in grande considerazione dedicandogli presentazioni e saggi), da Paolo Rovscek a federico Cavallaro, Roberto Russano, Raffaele Pettenuzzo, ospitando fra le colonne della sua rivista anche i miei amici palermitani, che gli avevo presentato e che ebbe in grande considerazione: Giulio Palumbo, Pietro Mirabile e Franca Alaimo.
Amò tuttavia il silenzio e il nascondimento.
Panunzio fu un saggio cavaliere armato di lancia spirituale. Fondò l’ATMA, Alleanza Trascendente Michele Arcangelo (santo a cui era devoto), composta di scelti cavalieri erranti, uniti nel comune sentire e dalla stessa missione. Non un Ordine, ma una libera Compagnia, a cui – come avvenne anche nel mio caso – Silvano assegnava per ciascuno un nome, come ideale appartenente ad una Tavola Rotonda invisibile, da restaurare pienamente.
A me assegnò prima quello di Lionel e poi di Bohort, pienamente simbolici in «reciproca intesa cristiana e michelita», mi scrisse, segnalandomi bontà sua fra i magnifici 24 “seniores”.
Panunzio era monarchico universalista, cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro per volontà di Re Umberto II, il quale teneva peraltro in conto debito il suo pensiero.
L’architettura sacra della Dottrina dello Spirito volava fra Oriente e occidente, per la Roma eterna e la nuova Gerusalemme, in un’epifania dello Spirito. Tradizione universale che aveva come mediatori gli Angeli e gli Arcangeli e alcuni Protettori celesti e sapienti, a partire da Platone, da San Giovanni (al cui Vangelo il “Cristianesimo giovanneo” dedicò un libro notevole) ai padri della chiesa, ai mistici medievali, a Scoto, Dante, Gioacchino da Fiore, San Bernardo da Chiaravalle, San Bonaventura, Santa Rita, San Francesco, pico della Mirandola, Savonarola, Rosmini, San Giovanni della croce, Meister Eckart, Guénon, al padre, ora Santo, pio da Pietrelcina, a cui pure dedicò una vasta esegesi, basata sull’assunto che era proprio di quest’ultimo, L’Invisibile è a portata di mano. Fu sostenuto pure da padre Gerardo da Flumeri e dai nostri Amici devoti di padre Pio.
tale ricerca fu anche l’auspicio di un rinnovato reincontro Oriente-Occidente, sempre teso ad una più piena consapevolezza escatologica.
L’aristocrazia sociale e corporativa di Panunzio non era una sorda o esotica indicazione all’astrattezza o all’elitismo, ma era concepita quale necessità irradiante, per tutti. In ciò e in tanto altro, indicando e seguendo il magistero (che sempre affermò anche davanti ai partigiani delle tenebre, ai vili detrattori o ai malati cattolici di amnesie croniche) di Pio XII, il grande Pontefice che salvò Roma con tatto, diplomazia e discrezione dall’essere rasa al suolo, senza altoparlanti o grancasse, salvando anche tanti ebrei e innocenti. Ma Pio XII, oggi venerabile, era anche un anticomunista, un avversario del progressismo e del relativismo, un fautore della Cristianità, anche nell’ordine temporale, e questo non poteva passare sotto consenzienti riflettori, come poi è avvenuto, del resto, contro Benedetto XVI da parte dei padroni planetari del pensiero unico.
Tuttavia Panunzio sostenne, con tesi ardite e, in certo qual modo, profetiche, il magistero dei Papi successivi.
Lettore di “Metapolitica” e della sua Summa (così vanno doverosamente definite le sue opere), feci la diretta conoscenza di Panunzio nel 1975, a Bari, per il secondo dei Convegni della Filippo II italiana (quello su Vico, e vi è ampia traccia dei suoi interventi nei suoi testi). Oltre alle frasi di circostanza e di stima (come disse il comune amico Oxilia, Silvano era «uomo singolare, recondito e introverso»), non si registrò molto altro fra noi a Bari (ricordo bene un epico diverbio che Vitale ebbe con Panunzio sul Risorgimento e l’Unità d’Italia, sostenuto da quest’ultimo con argomentata forza).
Tuttavia, s’infittirono i nostri scambi epistolari. la sua scrittura, quasi sempre vergata a mano, era esile, a volte difficilmente decifrabile.
I nostri rapporti divennero amicali, tanto come ho già ricordato da essere “ammesso” nell’ATMA, che vale per me più di una Gran Croce di un Ordine formalmente legittimo, ma sostanzialmente spesso vuoto, inconsistente, spiritualmente vago e senza direzione appropriata, come ve ne sono non pochi in giro. ancora nel 1983 (lettera del 5 settembre) mi diceva: «le nostre vie non sono identiche, entrambe valide s’incontreranno all’infinito».
Panunzio mi onorò di alcuni testi per Thule che riunii in volumetti preziosi, ora molto ricercati, anche dai bibliofili, e di vari articoli per “Spiritualità & Letteratura”, fruibili in rete, dato che l’intera raccolta (oltre novanta numeri) si può ora comodamente ricapitolare dall’omonimo sito.
Negli ultimi anni, inoltre, Panunzio pubblicò una raccolta di sue ispirate liriche, in cui v’è traccia di mie riflessioni critiche.
Anche gl’incontri romani s’intensificarono e la sua casa, con la gentile Matilde sua moglie, ispiratrice e compagna di una vita, si aprì più volte a me come fonte di una vivente e autentica sapienzialità.
Dopo una cena era il 1992 consumata in un ristorante nei pressi della sua abitazione a Roma, città per eccellenza per lui e centro irradiante sempre ed eterno, con Giulio e Pietro passammo insieme un’intera nottata sotto il provvidenziale segno della Santa Sapienza, nella comune fede nel logos supremo. Furono e sono, nel mio spirito, ore indimenticabili, una vera Agape, dove, invocando lo Spirito Santo, aprimmo i cuori e l’intelletto con reciprocità, guidati dalla determinata e calma saggezza di Silvano.
E fu esperienza interiore, metafisica metanoia.
Soffrì molto per la prematura perdita dei due dioscuri siculi baciati dallo Spirito e ne scrisse con stupendi e solenni espressioni su “Metapolitica”, forse le più belle fra quelle dedicate prima a Giulio e, poco dopo, a Pietro, che lo seguì in cielo.
Silvano Panunzio ebbe il conforto di altri buoni amici e discepoli che ne perpetuano pure la memoria, l’umanità e integralità (a volte rivelanti una sottile ironia), scrivendone, meritoriamente, la biografia e ripubblicando i suoi testi, ormai introvabili. sarà opportuno almeno ricordare: Primo Siena, padre Giacinto Arturo Scaltriti – pure amico e collaboratore di “Spiritualità & Letteratura” e di cui feci pubblicare a Renzo Mazzone un volume sulla tesi di Savonarola (Scaltriti ne era fervente esegeta) in una collana da me diretta –, Adolfo Oxilia, Ramun Panikkar, Mario Pucci, Vintila Horia, don Divo Barsotti (che a Settignano mi parlò bene di Silvano), Giuseppe Palomba (che gli dedicò un saggio), Emilio Servadio e Leo Magnino, colto lusitanista, caro amico e direttore de “La Cultura nel Mondo”.
panunzio credeva in cristo, nelle invisibili e misteriose sfere che suscitavano e proteggevano il Risveglio dagli Spiriti liberi; credeva nella Provvidenza che aiutava, per imperscrutabili vie, i giusti nella disposizione a contemplare la Verità in interiore homine; infine, non disperava in “nuovi cieli e nuove terre”, con certezza nella Parusia, insomma, quale compimento “ultimo” della Rivelazione perenne.
Ancora vediamo e sentiamo l’invisibile esempio di Silvano, anche per li rami, come avrebbe detto dante, in queste insufficienti parole di umile omaggio.
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