Lucio Zinna e la saggia ironia del vivere

di Elio Giunta

 

da sinistra: M. Prisco, E. Giunta, L. Zinna e T. Romano

La poesia di Lucio Zinna si presenta originale e matura già nella prima fase del suo prodursi. Siamo negli anni dal ’55 al ’74, anni densi di tutti i fervori e le inquietudini che hanno caratterizzato il formarsi della nostra più significativa cultura del secondo novecento, tra tradizione e rivoluzione, (e nel fermento Zinna ci stava con vivace impegno di rottura, pubblicando Antimonium 14 in quei quadernetti del Cormorano: un’invenzione letteraria che oggi meriterebbe perlomeno qualche tesi di laurea); allora Zinna  raccoglieva la sua produzione nei titoli Il filobus dei giorni e Un rapido celiare.  In queste raccolte leggiamo testi in cui prevale la memoria dell’infanzia, ma in cui è già evidente la dote, che egli manterrà poi peculiare, dell’osservare il fluire delle vicende del mondo rispetto alle quali la scelta è farsene spettatori, ritagliarsi un po’ di spazio per cogliere di questo fluire gli aspetti minimi e solo con essi e per essi verificare la dimensione dell’essere. Vivere quindi la scrittura come rifugio, come celebrazione di una marginalità, per cui l’io coglie il reale e lo piega ad una condizione esistenziale che regge sottilmente tutto. E’ bello infatti leggere versi ove compaiono, che so, la processione, le feste col grigiore della povertà, il porto di Mazara, le immagini, come da cartoline logore, d’una umanità sconvolta tra pericoli e macerie della guerra, e nello stesso tempo avvertire come l’incanto tra l’oggettualità recuperata non serve ad eliminare il nostro modo di essere inquieti, perché sappiamo che ad ogni istante, All’improvviso, la nostra pace interiore può disgregarsi per l’affiorare del male.

Del decennio del ’76-’86 è la seconda fase. La poesia di Zinna, con i titoli Sagana e Abbandonare Troia pare raggiungere più perfetta consistenza, certo perché il senso del male e dell’incongruenza del vivere sembra essersi acutizzato, in quanto la maggiore età ha consentito l’arricchirsi delle esperienze. Allora la condizione esistenziale del poeta si esprime in un’ampiezza di temi di più chiara e incisiva identificazione.

E sono questi i temi: - l’urgenza di partire che è pari a quella di restare e quindi il contrasto tra la suggestione del calore del focolare che sa di certezza e l’avventura della fuga, un tema questo che spinge l’io tormentato del poeta ad avvertire quasi , si legga Terra d’esordio., il dualismo tra due civiltà, quella europea e quella araba che s’alternano o parimenti urgono inconsapevolmente nel proprio istinto; - la ricerca affannosa di un fine della propria e della vita di tutti, “un simbolo”, dirà, “per la bandiera di questa nave in corsa”, mentre “il male ci persegue da ogni parte disorganico improvviso”, sicché si scopre con più evidenza che la poesia resta ragione e strumento unico di stare al mondo; -ed ancora, specie nella silloge Abbandonare Troia , l’acquisito senso di arrivo alla posizione di ben ponderata accettazione del procedere della vita così com’è: un concetto questo che resterà chiave di tutta l’opera di Zinna: tutti, col proprio discernimento, ad un certo punto si arriva al Bivio imposto dalla legge del caso, ed allora occorre  detto discernimento e che sia saggio per imboccare il verso giusto del vivere. Il verso di vivere, sarà infatti il titolo dell’antologia che raccoglierà il meglio dei titoli già pubblicati.

Sarà una saggezza condita di ironia, che è lo strumento di conforto e di difesa di cui disponiamo per sopravvivere al male; ma col quale possiamo anche trovare l’armonia familiare, sia come nostalgia di quiete, sia come mito risanatore ( si pensi a un testo come Il Rosario ); e possiamo disporci ad accettare la dimensione del vivere che ci è toccata in sorte, indugiando in parola, cioè a scandire il tempo col verbo lirico, nella solitudine, e raccogliendo sensazioni tra gli accadimenti minimi come -si veda un nuovo titolo- per uno scartabello degli attimi invenduti;  e possiamo imparare a resistere alla percezione di inimicizia del mondo quale spesso ci affligge o al vortice di una visione disarmante di quanto affastellato di presente, di storico e di mitico; possiamo infine declassare ogni interesse  al “filo d’erba cresciuto sul ciglio della strada (leggi Astoria ).

Con Abbandonare Troia, comunque, la poesia di Zinna ha raggiunto la sua piena compiutezza, il suo inimitabile piglio espressivo, con quell’ironia che s’è fatta disinvoltura, data la sicura consapevolezza acquisita di come va il mondo, di cosa vale l’ingannevole futilità del molto che ci circonda, ove il poeta, fattosi ormai ben capace di vivere trascinando la sua pena segreta, non ha che da raccogliere suoni dal disincanto. E Il prosieguo verrà a conferma.

Tra l’’84 e i primi anni 90 si colloca la terza fase, con i titoli Bonsai e La casarca.  Può sembrare che non vi si aggiunga di molto in tematica e stile rispetto ai testi della seconda fase.  E invece si tratta senz’altro di una nuova fase di arricchimento, logica e quasi necessaria: il poeta Zinna non si esaurisce ma è vivo e prolifico più che mai per definire meglio o ribadire la peculiarità del suo ruolo nel panorama della poesia esistenziale. Ora in lui è aumentata la voglia di solitudine, il disincanto si è fatto totale, persino l’insularità è vissuta addirittura come un privilegio. E quella che è stata accettazione della propria condizione e difesa contro l’altro -da intendere il mondo e la sua rumorosa oggettività- si è fatta così sicura e serena, da consentirgli ora il lucido sarcasmo: che però, si badi, non sarà per malevola idiosincrasia, ma in funzione di provocatorio appello al prossimo, secondo una vera e propria lezione:  cioè che l’altro si consideri avverso se e in quanto non sa essere prossimo, poiché “la prossimità -scrive Zinna- dev’essere corrispondenza, interiore sintonia”. Se questo non può esserci, meglio chiudersi nella propria arca, coi propri affetti essenziali, riservando dunque gli inni solo al proprio universo di semplici e umili presenze della propria casa. 

Ma questa soluzione di ritiro nel proprio chiostro non sarà rigorosa e assoluta, essa, che pur si manterrà caratteristica in futuro, vorrà piuttosto essere una proposta di filosofia di vita, tale da non escludere all’occorrenza la visione critica su quanto, anche come storia e mito, rispecchia il serpeggiare del disguido, dell’inganno, della violenza dell’accadere, con tanto di reazione corriva, come può leggersi nei testi di Minutario postumo o nel poemetto De rebus Siciliae,  efficacemente evocativo e provocante.

In quei decenni di “Sagana” e “Abbandonare Troia” Zinna è orma emerso come presenza distinta e incisiva nel panorama della poesia italiana in Sicilia. Infatti abbiamo parlato di fasi, ma va notato che tra esse è riscontrabile una tipica unità linguistica, ottenuta coll’abile manovrare il fraseggio lirico, che ora è rapida,  assonante  e dissonante presa dell’oggetto; ora è arguta commistione del reale –uomini e cose-, densa di umore creativo, che è umore come amarezza, come esercizio del distacco, come ironia. L’oggetto di Zinna è poi dato sia dalla memoria, sia dall’occasione che si presenta e ti cattura, con la sua immediatezza, la sua concretezza decisiva, fino a spingerti e accompagnarti a fare i conti con le spigolature della vita. Perché per Zinna la vita è cogliere spigolature, trarre il senso di ciò che pur minimo si fa decisivo, e a cui si dà un tono, da cui si estrae una sintesi.

Sono impressioni queste suggerite da riletture qua e là delle opere citate e che riteniamo valide anche per il prosieguo. Zinna poeta infatti non si esaurisce e riproporrà analoga la sua tipicità creativa, per toni e motivazioni, nelle opere successive.

Pervenuto ai primi piani della contemporaneità come poeta di spessore, i nuovi titoli gli saranno accolti nelle preziose edizioni Lieto colle.  Si tratta de La porcellana più fine  e  Poesie a mezz’aria,  libro che è del 2009.  Già nei titoli è evidente il ben noto uso della oggettualità carica di umori e foriera di messaggi. E’ importante però osservare come in queste ultime raccolte può cogliersi una non indifferente variazione tonale: sarà in ragione di quella gravità di esperienze e di sensazioni propria della più tarda età; tale variazione sta nel senso che la finzione discorsiva del versificare, con cui si accumulano uomini e cose, gesti ed accadimenti per attingere a profonde significazioni, ora riesce improntata quasi a delicata cordialità. Si ha l’impressione d’incontrare una poesia dal tono confidenziale, come se il poeta usi una parola che voglia metterti a tuo agio, una parola complice, quasi intima. Benché si avverta che è sempre parola usata a coprire l’inganno dell’incongruenza dell’esistere, nella quale tu pure ci sei, lì, impigliato e impotente, indaffarato, come tutti, in cerca di scopo. Comunque non c’è reazione troppo passionale, cioè non c’è ira, ma piuttosto un senso di accondiscendenza a stare nella ruota che gira, passando da uno strappo all’altro: come un invito a starci senza troppo curarsene, capaci di fermarsi anche a mezz’aria, mutuando il vago girovagare degli uccelli. Perché in fondo a tutto ci si abitua. Si legga dal bellissimo testo “Vincoli e strappi”:

A tutto ci si abitua anche/  alla vita e questa subito/ alletta e sgomenta altro juchittu/ di nascondimenti e svelamenti/ e a compenso di nuovi disagi e sofferenze/ sventaglia blandizie possibili miraggi/ delizie naturaliter fugaci e –costante/decisa- legami stabilisce vincoli/ sempre più forti e fragili/  fragili e forti fino all’altro strappo.

Per concludere, riflettiamo come due siano le tensioni che caratterizzano l’esistenza di ognuno di noi: il bisogno di sopravvivenza e il desiderio di felicità. Per questo si vive con fatica tra le due possibilità, quella di sfuggire alla miseria o di liberarsene, l’altra di contrastare l’infelicità che sempre è in agguato, trincerandosi dietro un drastico pessimismo.  Ma c’è ancora un’altra via, quella dell’aderenza consapevole alla vita, smussandone i giorni dalle false attese, ponendo in una logica analitica le occasioni dolorose, snobbando le sollecitazioni al plauso del coro, sempre attenti al dettaglio. Ed è la via dei poeti: un saggio ridursi al semplice mestiere di vivere, prendendo sempre il mare per il suo verso, come suggeriva anche il nostro grande amico Luzi.

Questa in definitiva è stata ed è la via di Zinna, poeta di pensiero, allorché appunto ci vuol invitare a “prendere il giorno come viene”, perché, cito, “vivere è risorgere ogni giorno” e  “Dio si ringrazia anche della certezza della morte”.  Sono parole tratte dai primi libri che hanno la stessa efficacia di molte altre che sono nell’ultimo libro ove pure si legge : ”Mi tengo com’è/ questo straccio d’anima/ coi suoi errori risorse rimpianti/parimenti elevabili a potenza”. Coerenza lunga quindi e spessore di una personalità che fino a questi suoi ottant’anni ha fatto molta e diversa letteratura, ma che soprattutto attraverso la poesia ci ha donato una lezione di filosofia umana semplice e incisiva come poche: ci ha indicato quale può essere il verso saggio per affrontare la vita; infatti per vivere ci vuole comunque sapere prendere un verso e che sia quello giusto. Ricorderemo spesso questa lezione e gli saremo grati.   

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