La Poesia e l’arte della Mimesis  - Relazione di Giovanni Teresi al Seminario di Arte Terapia dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli

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                   L’estetica di Aristotele 

 

“Si ama quello che colpisce, e si è colpiti da ciò che non è ordinario.”
Aristotele

 

Per comprendere e parlare della creatività poetica, un passo di Jung si pone come una delle possibili chiavi del pensiero della psicologia del profondo; a tal proposito così si esprimeva :

“Mentre annotavo le mie fantasie una volta mi chiesi: ‘che cosa sto facendo realmente? Certamente non è nulla che ha che fare con la scienza, ma allora che cosa è?’ Al che una voce in me disse: ‘E’ arte’. Fui sorpreso, non mi era mai passato per la testa che le mie fantasie potessero avere a che fare con l’arte. Allora pensai: ‘Forse il mio inconscio ha dato forma ad una personalità che non sono io e che potrebbe esprimersi con le sue proprie vedute. Con molta enfasi, e decisamente restio, dissi a questa voce che le mie fantasie non avevano nulla a che fare con l’arte. Allora la voce tacque, e io continuai a scrivere. Poi ci fu un altro assalto, e si ripeté la stessa asserzione: – questa è arte. E nuovamente protestai: Non è arte!. Al contrario è natura. Mi disponevo ad un ripetuto e contrastante assalto, ma poiché non accadeva nulla, riflettei che la donna in me non possedeva un centro della parola, e così le proposi di servirsi della mia lingua. Accettò la mia proposta e subito espose il suo punto di vista con un lungo discorso. Mi interessava straordinariamente il fatto che una donna, dal mio interno dovesse interferire con i miei pensieri. Probabilmente pensavo doveva essere l’anima; è lei che comunica le immagini dell’inconscio alla coscienza e in ciò sta il suo pregio. Per decenni mi sono sempre rivolto all’anima quando ho sentito che il mio comportamento emotivo era turbato o mi sentivo inquieto. Allora voleva dire che c’era qualcosa nell’inconscio e quindi chiedevo all’anima”.

 Il pensiero di Jung rispetto al tema dell’arte (abbastanza contraddittorio e poco attento al clima letterario del suo periodo storico), scaturiva soprattutto da un’esperienza di discesa nel regno di Ade, alla ricerca della comprensione del significato delle sue immagini e degli stati d’animo che rischiavano di travolgerlo dopo la rottura con Freud, alla ricerca della propria individuazione. La possibilità, nonché la capacità di potere trasformare le emozioni in immagini, può esserci d’aiuto nella conoscenza della metafora poetica e del rapporto con Mimesis, che come vedremo oltre è contemporaneamente emozioni ed immagini.

Mentre il poeta sembra quindi essere inconsciamente in sintonia a stare con la complessità e i paradossi di tali dimensioni (emozioni ed immagini), l’uomo non creativo corre il pericolo di essere inflazionato dalla dimensione archetipica quando vive delle esperienze come quella vissuta da Jung:

“Dovevo accettare la sorte, e dovevo tuttavia osare, impadronirmi di quelle immagini, poiché altrimenti correvo il rischio che fossero esse a impadronirsi di me: un motivo importante per fare questo tentativo era il convincimento che non avrei potuto attendermi dai miei pazienti una cosa che non avessi osato fare io stesso.”
E ancora, più oltre, il rapporto tra emozioni ed immaginazione acquista una valenza prospettica e indice di un confronto costante e dialettico che si pone come una delle metafore di base della dimensione poetica:

“Finché riuscivo a tradurre le emozioni in immagini, e cioè a trovare le immagini che in esse si nascondevano, mi sentivo interiormente calmo e rassicurato. Se mi fossi fermato alle emozioni, allora sarei stato distrutto dai contenuti dell’inconscio. Forse avrei anche potuto scrollarmele di dosso, ma in tal caso sarei caduto inesorabilmente in una nevrosi, e alla fine i contenuti mi avrebbero distrutto ugualmente. Il mio esperimento mi insegnò quanto possa essere d’aiuto – da un punto di vista terapeutico – scoprire le particolari immagini che si nascondono dietro le emozioni.”


Queste frasi di Jung rappresentano una possibile trama per comprendere il rapporto tra poesia, anima e mimesis, e di come il costante confronto con le immagini dell’inconscio possa essere causa di ricchezza interiore, accrescimento e ampliamento della coscienza umana, ma possiede anche il pericolo dell’inganno, dell’illusione e di smarrirsi nei meandri della psiche a volte in un viaggio senza ritorno perdendosi nel vuoto della follia.

In questo senso, la poesia come il sogno è un antico processo che in maniera immediata ci pone in contatto con la forza della vita e con gli scenari della parola che non è più parola quotidiana, ma metafora che non spiega, ma accenna, non consiglia ma suggerisce, non imita ma somiglia.

In tale visione Mimesis non è la pura arte dell’imitazione, azione passiva di ‘copia’ di un modello, di un evento o di un sentimento esistente, ma è la forza creativa, archetipico dell’atto generativo, metafora della vita stessa e chiave analogica da cui si diramano le frecce di Eros per riempire il vuoto quando l’umano ha smarrito il contatto col divino o come, junghianamente parlando, l’uomo ha perduto il rapporto con l’Anima.
Il tema della creatività e la capacità del poeta di attingere al mondo della natura e alla dimensione del corpo per fare risuonare le corde dell’anima, permette di concepire Mimesis in stretta relazione e connessione con Eros, dando consistenza e spessore immaginale alla sua vera funzione che è quella di generare nel bello, così come ben avevano compreso i Greci:


«All’origine di Mimesis c’è, per i Greci, il ricreare versi di animali, rombi di tuoni, suoni e gesti umani, con voce, danza, espressione e dramma teatrali, tradurre esperienze sinestetiche, trasportarle e trasformarle con linguaggi mimetici per riunirli: il poeta trova melodia e parola da canti di pernici, Atena scopre il nomos policefalo dal pianto di Euriale, il cantare delle Deliadi è mimema di voci umane intellegibili».


La parola poetica affonda le sue radici nella Mimesis, si nutre del già conosciuto e della dimensione personale ma si pone come ricerca dell’archetipo della vita: il suono; vibrazione sonora che squarcia il velo della natura e permette alla nascita/morte di fare il suo ingresso sulla scena dell’esistenza umana. È in questo mitema che il poeta fa la sua comparsa e si serve della metafora come utensile per scavare e penetrare nel sottosuolo dell’anima e guardare.

E’ la metafora che permette dal punto di vista linguistico di recuperare il senso della tradizione e di immettersi in una visione dove il cosmo è pervaso da una Anima mundi basata sulla legge delle analogie e della similitudine, creando quella condizione di ‘parteçipation mistiquè’ indispensabile per penetrare i misteri e gli enigmi della poesia.
Aristotele, nella Poetica, a proposito della metafora, così si esprime:

«La cosa più importante di tutte è essere capace di metafore: questa è l’unica cosa che non si può prendere da altri ed è segno di talento, fare bene metafore è vedere il simile».

Il tema del vedere rappresenta un fondamento nell’arte poetica; qui non si tratta di letteralizzare gli eventi che accadono ma vedere con gli occhi di Mimesis significa guardare ciò che accade e quello che ci circonda intendendolo nella prospettiva dell’Anima, ovvero dare corpo e sostanza all’immaginazione, pensando quest’ultima come attività creatrice dello spirito e processo dinamico che spinge a cogliere la verticalità della narrazione come possibilità che l’uomo ha a disposizione per ricomporre, non in una fantasia nostalgica, l’unità perduta, accettando le contraddizioni dell’esistenza, fatta di vita/morte per tentare di avvicinarsi e cogliere le somiglianze con l’atto creativo. Intesa in tale senso il rapporto tra poesia e Mimesis è simile a quello esistente tra sogno e realtà dove il sogno non è riproduzione o fotocopia di quello che accade, quanto piuttosto è artifex di un atto autentico che crea ed anticipa quello che non esiste ancora, il non progettato, lo sconosciuto , quello che deve avvenire; ed in questo senso possiamo concordare con il poeta russo Maikoschi che “il poeta anticipa il futuro”.

L’attività immaginativa, come ben testimoniano le parole e l’esperienza di Jung, si interseca con la disponibilità a farsi trasportare nella riverie di Bachelard, dove il silenzio diventa una pausa nella narrazione verticale; l’immaginazione preferisce solcare i sentieri e le orme della ‘valle del fare Anima’ (Keats), dove l’errare e il vedere conducono il poeta ad esprimere le emozioni archetipiche in immagini che hanno somiglianze con l’antico suono e la bellezza sulfurea di Afrodite: è un vedere che immagina il sapore del gusto, il profumo dell’olfatto, il tocco della pelle, l’armonia dell’udito, arrivando ad una visione dell’estetica nella sua etimologia di aistesis, come percezione attraverso i sensi, dove il corpo non viene relegato nei meandri del basso, dell’inferiore, ma partecipa al coinvolgimento emotivo che eccita le fantasie e le immagini dell’Anima.
In questo senso mimes è legata all’ ‘immaginatio’ e non all’ ‘imitatio’, poiché è azione sospensiva e riflessiva.
Il silenzio che fluisce da Mimesis partecipa al ritmo della psiche lasciando spazio al suono che precede la presenza dell’estraneo, dello straniero; accoglie nel proprio spazio le pause della vita e permette di respirare con la totalità dei sensi.

In questo senso Mimesis è ricreazione, processo complesso e completo per riunire e rinvenire ciò che è stato spezzato, dando entusiasmo e tristezza all’agire umano che cerca costantemente di cogliere la scintilla del divino che si esprime nell’incanto della natura e nella gioia del piacere estetico.
Se con H. Corbin le immagini allargano il cuore e con Hillman è il cuore la sede dell’immaginazione, il poeta vede in modo diverso dal momento che moltissimi sono i modi del vedere e la mutevolezza di questo atto dipende esattamente dall’infinità degli occhi che vedono, dai momenti in cui partecipa la visione delle relazioni e dagli stili in cui vedono: il poeta pertanto permette di far vedere con l’udito ed immaginare con il cuore agli altri ciò che lui ha potuto vedere.

La sua funzione opera, inoltre, nel regno apparentemente anonimo del non umano:

«l’artista da un lato è un essere umano, personale, dall’altro un processo umano, ma impersonale… In quanto artista, egli non è né autoerotico, né eteroerotico, né genericamente erotico, ma eminentemente impersonale, addirittura inumano, sovrumano, poiché come artista egli è la sua opera, e non un uomo» (Jung).

La metafora sonora

“Si ama quello che colpisce, e si è colpiti da ciò che non è ordinario” (Aristotele). 

Questa espressione messa come citazione di tale scritto, ci conduce nel cuore di Mimesis e nell’arte poetica in quanto quest’ultima risveglia le emozioni addormentate dentro di noi e nell’Anima Mundi.

Il foglio scritto non è solo più foglio; la parola lasciata come una foglia d’autunno si allontana dalla sua materia ed è simbolo di altro che ha bisogno dell’immaginazione per dare forma ed espressione a ciò che l’anima umana partorisce nell’incontro; perché la poesia è incontro tra l’impersonale e il personale e l’immaginazione nutre tutto ciò col fuoco della passione e dell’amore per il non progettato, il non ancora creato, per tutto ciò che deve avvenire e si deve individuare.

Nella condizione di metafore sonore, il poeta viandante ama avventurarsi nella foresta delle emozioni e dei simboli, per farsi spazio nel mondo e fare spazio alle immagini che scaturiscono dalle parole, messe con amore e sofferenza, le une accanto alle altre. Ma il poeta non ama solo la libertà.
Mimes, ci ricorda che il poeta ama anche la trasformazione dei luoghi di cui la psiche umana è prigioniera del proprio destino e a volte impossibilita a scegliere, spinta dalle forze archetipiche dei demoni che sono diventati malattie. Allora il destino del poeta, penetrando nella foresta, è quello di farsi amico dell’inquietante, dell’estraneo e del perturbante, a tutto ciò che non appartiene al familiare, pur smarrendosi nell’incertezza può trovare con la creazione poetica il filo di Arianna per ri-venire, ritornare nel mondo di qua piuttosto che rimanere catturato negli specchi illusori delle proprie immagini e quelle archetipiche, come invece accade nella storia dello psicotico.
Nell’aforisma di Simonide la «pittura è poesia muta e poesia è pittura sonora» (Plutarco), l’occhio si posa sul suono e non sul racconto e l’emozione acquista una pregnanza ancora più antica, permeata dalla capacità di creare immagini nella propria mente non filtrate e aiutate da uno stimolo visivo esterno.
Si racconta che i due fratelli, Apollo ed Hermes, rappresentavano nella loro vita l’emblema degli opposti, l’unione e la compresenza di distanze contrarie, di immagini ambivalenti, dissimili, eppure unite forse solo dalla poesia. Ancora una volta ricorrere al mito, alle origini è il richiamo di Mimesis, non come semplice ritorno al passato, all’infanzia di sapore freudiano ma riscoprire l’infanzia mitica dei due fratelli, della loro nascita, dei doni, e dei giochi costruiti come la cetra con le sue corde melodiose da cui scaturiva la gioia e l’incanto. Forse questo può essere una tela dove si può collocare la poesia, su uno sfondo mitologico.

Se con Apollo il dardo colpisce e lascia spazio alla tragedia della fine, in Ermes quello che colpisce e conduce alla profondità è l’incanto, una suggestione senza fine avvolta nel manto delle ombre melodiose costellate dall’inganno, la seduzione, la quiete, la magia, il sonno, la possessione, l’oblio, la morte. Tanto è vero che i Greci avevano personificato tutta questa trama ermetica nella figura delle sirene, capaci di sedurre, incantare ed ammaliare fino a portare ad una perdita di se stessi, uno smarrimento e un vagare nell’universo della notte e delle ombre di Ade, dove la parola del racconto e dell’ascolto conduceva ad una morte accompagnata dall’angoscia di perdersi in un nulla melodioso e affascinante.
Alla poesia ermetica aveva resistito Ulisse, imponendo ai suoi compagni di farsi legare al palo (la solidità della Terra) ma conservando la funzione dello sguardo e dell’udito, metafore basilari della poesia, invitando a rifletterci che di fronte alla magia dell’Eros dobbiamo essere ben legati, ovvero aveva un intenso legame con noi stessi per sopportare i misteri della poesia (soprattutto della vita) per non essere catturati dalla follia, perché in fondo la follia è una morte che non finisce mai.

Tra le attività umane ve ne sono alcune con finalità spiccatamente utilitaristiche (le attività industriali in genere), altre con finalità spiccatamente espressive (letteratura, teatro, cinema, pittura, danza, ecc.) che operano sui mezzi di comunicazione, ovvero sui linguaggi che permettono la comunicazione tra gli esseri umani.

Alcuni linguaggi utilizzano le parole generando letteratura e poesia, i suoni divengono musica, suoni e gestualità generano danza e così via. I linguaggi che utilizzano le forme e le immagini generano quelle arti che noi definiamo «visive».

In realtà quando si usa la parola «arte», nella maggioranza dei casi si intende quella «visiva», tuttavia questa è una semplificazione che può generare qualche errore, facendo ritenere che è artistica tutta l’attività che produce quadri o sculture, ma ciò non è assolutamente vero.

Un quadro non è per forza un’opera d’arte: lo è solo un quadro fatto bene.

La pulsione umana a rappresentare la realtà è antichissima e ne troviamo testimonianza nelle grotte preistoriche. Poi l’arte è divenuta un linguaggio per comunicare con gli altri, ma inizialmente essa servì a conoscere la realtà attraverso la rappresentazione. In pratica l’Artista compie due processi fondamentali: percepisce la realtà e la interpreta facendosene un’idea. A questo punto nasce la rappresentazione.

Definiamo una rappresentazione naturalistica quando essa è uguale alla percezione. Viceversa una rappresentazione è antinaturalistica quando è diversa dalla percezione. Facciamo un esempio. Un ritratto eseguito da Raffaello è un’immagine naturalistica; la scomposizione cubista di un volto come realizzata da Picasso è una rappresentazione antinaturalistica.

L’arte ha un ruolo di primo piano nella cura della salute, il filosofo Maritain affermava :

È il potere di guarigione e l’agente di spiritualizzazione più naturale di cui abbia bisogno la comunità umana”.

Le arti vengono considerate generalmente realtà troppo nobili e alte per entrare e plasmare la vita di persone comuni, ma nella realtà spesso accade il contrario. L’arte può aiutare l’uomo a fermarsi per osservare, riflettere e contemplare, per arrestare quindi il fluire e refluire delle azioni e delle passioni, per immobilizzare la vita spirituale e guardarla.

In questa condizione è possibile capirsi più profondamente e giungere a una piena consapevolezza di sé, fermarsi per cogliere il significato della realtà, per fare scelte consapevoli e progettare la propria vita.

Ma al contempo la stessa opera d’arte è il riflesso di modi pensare, vivere, sentire dell’artista che continuamente corregge, sostituisce, rifa. In sintesi, si può dire che l’arte fa l’uomo più uomo.

Giovanni Teresi

 

Bibliografia

Ferdinando Testa: L’Immagine nell’Arte, nella Tradizione, nella Psicologia Archetipica (1997), Ediz. Moretti & Vitali – I Territori del’Alchimia, Jung e oltre (1999), Ediz. Moretti & Vitali – La Psiche e gli archetipi dello Spirito (2003), Ediz. Moretti & Vitali – Psicosi e Creatività (2003), Vivarium.

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