La Galaktotrophusa della Màrgana

Icona della Madonna della Màrgana, Santuario omonimo, Pantelleria
Icona della Madonna della Màrgana, Santuario omonimo, Pantelleria

L’iconografia della Madonna del latte, la Galaktotrophusa o Virgo lactans.

La primizia delle raffigurazioni della Madonna con bambino la troviamo nella catacombe di Priscilla a Roma sulla via Salaria, databile intorno alla  seconda metà del III sec., vi compare anche il profeta Isaia colui che aveva predetto: “Ecco, la vergine concepirà, partorirà un figlio e lo chiamerà Emmanuele”.

Il piccolo Gesù è nudo, volge i suoi grandi occhioni neri all’osservatore che lo distoglie  dall’allattamento al seno scoperto della mamma.  E’ un affresco “impressionista”, coglie un attimo di vita quotidiana, nel solco della “pittura compendiaria” romana trasferita, in questo caso, su parete, pennellate veloci, abbreviazione dei particolari, sintesi fulminea per conferire spontaneità e freschezza al soggetto dell’opera.

La diatriba paleocristiana verte sull’origine di questa iconografia, egizia o romana, il nodo non è stato sciolto ma essa incontrò un’enorme fortuna in tutto il Mediterraneo fino al proibizionismo post tridentino. La Madonna della scala, del giovane  Michelangelo, è raffigurata di profilo nel bassorilievo stiacciato, alza morbida il mantello per porgere il seno al figlio affamato. La Madonna Litta di Leonardo sorride affettuosa al biondo, riccioluto figlio che avido succhia dal seno destro della madre, siamo circa nel 1490. Di esempi ne potremmo citare all’infinito, esistono Madonne del latte in pievi o edicole poste lungo i tratturi  quasi a proteggere la fecondità delle greggi nella transumanza.

L’iconologia

Il drago dell’esoterismo morde ogni simbolo cristiano, a partire dalla croce, per scavare nei meandri degli arcani alla ricerca delle fonti “pagane” col fine di svuotare della polpa i frutti di una religione ritenuta estranea alla tradizione indoeuropea, poi romana. Il mito della Grande Madre celeste è presente in tutta l’area del Medio Oriente dalla Inanna dei Sumeri, alla Ishtar per gli Accadi, all’Artemide di Efeso, all’Afrodite di Cipro, alla Demetra di Eleusi fino a Bellona per i Romani. In Egitto questa figura trova incarnazione nella dea Iside, sposa incestuosa di suo fratello Osiride, ucciso da Seth e poi risorto grazie alla congiunta. Dalla loro nuova unione nascerà Horus, il dio bambino che appare in numerose rappresentazioni in braccio alla madre che lo allatta. Questa triade sacra voleva significare la rinascita perenne della vita, la sua vittoria sulla morte, un mito legato al rinnovarsi della natura, alla sua rinascita continua dopo i rigori dell’inverno, cogliendo nell’eros la forza rigeneratrice del creato. Mito agreste della Natura naturans, tellurico perché intrecciato con i bisogni primari dell’esistenza, cibo ed acqua in abbondanza per uomini ed armenti., bionde distese di grano lungo il corso del Nilo. Niente a che vedere col mistero di Maria, con l’incarnazione del Verbo nel suo grembo. Riportiamo in proposito il passo iniziale dell’Udienza Generale tenuta da S. Giovanni Paolo II il 27 novembre 1996:  “La contemplazione del mistero della nascita del Salvatore ha condotto il popolo cristiano non solo a rivolgersi alla Vergine Santa come alla Madre di Gesù, ma anche a riconoscerla Madre di Dio. Tale verità fu approfondita e percepita come appartenente al patrimonio della fede della Chiesa già dai primi secoli dell’era cristiana, fino ad essere solennemente proclamata dal Concilio di Efeso nell’anno 431”. Una mamma compie il suo primo dovere alimentando al seno il proprio figlio, è il primo atto che compie, un gesto di amore spontaneo verso la sua creatura che cerca istintivamente nutrimento e solo una donna che ha partorito realmente sente scendere il latte per sfamare il suo nato. Gesù è vero uomo e vero Dio, in lui convivono due nature non solo quella divina come affermava Nestorio che negava la legittimità del titolo Theotokos “Madre di Dio” riferito alla Vergine ritenendo corretta solo l’espressione “Madre di Cristo”. Ma “la divina maternità di Maria si riferisce solo alla generazione umana del Figlio di Dio e non invece alla sua generazione divina. Il Figlio di Dio è stato da sempre generato da Dio Padre e gli è consustanziale. In questa generazione eterna Maria non ha evidentemente nessun ruolo. Il Figlio di Dio, però, duemila anni fa, ha assunto la nostra natura umana ed è stato allora concepito e partorito da Maria. […] La maternità è relazione tra persona e persona: una madre non è madre soltanto del corpo o della creatura fisica uscita dal suo grembo, ma della persona che genera. Maria, dunque, avendo generato secondo la natura umana la persona di Gesù, che è persona divina, è Madre di Dio”.(ibidem da Udienza Generale del 26.11.1996).

La Madonna della Màrgana

Sul primo dipinto doveva comparire la scritta in greco “Meter Theu”, divenuta Mater Dei nell’icona di stile romanico che contempliamo e il titolo chiarisce il nostro discorso sull’iconologia della raffigurazione sacra della Virgo lactans. Sul retro della tavola possiamo leggere l’iscrizione: «Sacra haec imago post incarnationem, 857 depicta venustate relapsa fuit alojsio sozzi anno 1732 novitas reformata». Traduzione:“Questa sacra immagine, dipinta nell’anno 857 d.C., essendo vecchia fu rifatta da Luigi Sozzi nell’anno 1732 e riportata all’antico splendore”. Ciò che vediamo è del XVIII sec. Ci chiediamo se l’intervento del Sozzi fu solo di tipo conservativo oppure, visto lo stato di vecchiezza in cui versava, lui si trovò a dover ricostruire la sacra immagine attingendo all’iconografia bizantina del XIII sec., quella non ortodossa, mettendoci inevitabilmente del suo. Ciò che vediamo è la Vergine mentre compie il suo dovere materno di allattare il figlio, un bimbo già grandicello che indossa  una tunica rossa, colore della sua regalità divina ma anche  presagio del suo sacrificio sulla croce. La mamma lo tiene dolcemente in grembo, con le mani quasi lo accarezza, sorride leggermente a chi osserva la scena, è compiaciuta ma presaga, il capo è coperto da un mantello blu tempestato di stelle a ricordare il Cielo ( nella tradizione ortodossa invece il manto è marrone), ha in dosso un vestito color porpora a rammentarci la sua partecipazione alla natura divina del Figlio ed il suo  amore di madre. La Tradizione popolare pantesca scava nel tempo fino al 551 d.C. quando una comunità di monaci basiliani scelse di costruire un cenobio sull’isola di Pantelleria, sfruttando i resti di un’antica costruzione d’epoca romana. I frati “resistettero” anche all’occupazione araba dell’isola probabilmente pagando l’odiosa tassa che permetteva di continuare a professare in privato il cristianesimo, una forma di tolleranza usuraia dell’islamismo. E’ ipotizzabile che la tavola della Madonna facesse parte del carico d’ una nave proveniente dal Medio Oriente, diretta sulle coste calabresi per essere trasferita nel cenobio basiliano di Rossano Calabro dove è presente un’icona devozionale sempre della Madonna della Màrgana. Cosa vuol dire etimologicamente Màrgana, esistono due ipotesi forse il sostantivo è connesso con raġnah ‘terreno umido’  (Caracausi) oppure deriva da marğ ‘prato’ (D’Aietti), comunque, di fatto, era il toponimo di una località isolana. Il vascello, colto da una tempesta, virò la prua su Pantelleria, scaricò obtorto collo il carico trasportato, essendo l‘isola controllata dagli arabi, ma il capitano o chi per lui fecero salva l’immagine sacra consegnandola a pescatori cristiani perché non venisse distrutta, data la feroce iconoclastia mussulmana.  Questi quatti, quatti, forse ne fecero dono al cenobio dei basiliani che la conservarono gelosamente fino alla riconquista cristiana dell’isola quando l’icona riapparve ai suoi fedeli. Sempre stando alle leggende però il quadro, una volta giunto sull’isola, venne trasportato in paese a dorso d’asino ma l’animale giunto in contrada Màrgana non volle più saperne d’ andare avanti, s’impuntò testardo, a nulla valsero frusta ed urla del padrone,  sembrava pietrificato, persino orante, si tradusse questa sua resistenza nella volontà della Madonna che in quel preciso luogo fosse edificato un santuario a lei dedicato che è, tra l’altro, il più antico santuario di Pantelleria. Le leggende o miti, si sa, mescolano la realtà con l’ immaginazione arricchendosi, nel tempo, di diverse varianti, quel che è certo è ciò che leggiamo: anno 857 della realizzazione dell’icona e il 1732 quello del suo restauro che riporta i dati anagrafici dell’autore. Forse è assai plausibile che i monaci basiliani il dipinto lo avessero acquisito per committenza o che lo avessero ricevuto in dono dai loro confratelli d’Oriente dove, tra l’altro,  era già assai diffusa la rappresentazione della Galaktotrophusa ( particolarmente in Egitto) e condannata da tempo l’iconoclastia in seno alla Chiesa. A questa icona sono legati tanti prodigi, miracoli, testimoniati dai numerosi ex voto un tempo infissi sulla tavola; la Madonna del latte protegge i raccolti ma anche i marinai, per questo è una Madonna pellegrina, trascorre sei mesi nella chiesa matrice del SS. Salvatore di Pantelleria poi da fine maggio fino a ottobre  torna, con solenne processione, nel piccolo santuario sulla collina di Màrgana per vegliare dall’alto sui naviganti come Regina dei mari.

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