“L’origine futura” di Sandro Giovannini

L’origine orrifica e potente dell’arte procombe ormai nel polimorfo, nell’informe, nel corrotto... Come ombra del sacer c’è, inscindibilmente, un processo prevedibile, anche se ben poco previsto, che viene innescato dalle varianti civili, a seguito delle spinte entropiche. Il clic epocale è sostanzialmente scattato, forse per la stupidità compiaciuta degli uomini o per l’irriducibile invidia degli intermedi dei che corrispondono al vortice… la luce s’è affievolita fin quasi a spegnersi.  E persino la fosca sorpresa del buio perturbante (le grandi anime, dall’Ottocento) è già alle nostre spalle... molto più o poco meno dall’intuizione tragica dei giganti e dal futuro restante - forse niente - per l’immaginazione derubricata dei nani...

Ma uno mi dirà... e se ci fossero ulteriori sorprese???  Magari per il …velocior? Quindi dalla sola accelerazione esponenziale…

Sempre possibile ma non probabile, perché - tutto sommato e detratto - i processi, scontati nella meccanica già avvenuta del  fato, tendono a  superarci(si) sempre molti passi avanti, ma illeggibili solo dagli stolti o dagli inguaribilmente compromessi.   E gli avvitamenti  accelerati hanno solo reso tutto ancora più evidente.  Già di molto hanno sovrastato i giochi più o meno intelligenti, anche i nostri, seppur mai a cottimo e pagati sempre in proprio, persino le vite più incontaminate, coerenti, perfette... Quelle sulle quali le rabbie solo spiegabili massivamente, paludate o cialtrone a mostrarsi, si rivelano comunque senza scuse per quello che sono.  Ma il fato è avanti tutti noi e si disinteressa  proprio di quanto si possa essere artisti o eroi o, qualche rara volta, tutte e due.  La quantità diabolica, la pesanteur è ovunque ed infesta il territorio, affoga ogni conato di rivolta nella melma che rilascia dappertutto, e giustifica, per vergogna, limo. I suoi portabandiera sono fantocci manovrati, patetici proprio loro che credevano di avere il vento in poppa della storia e sempre più virulenti come si conviene a servimuti (ma con la bocca aperta, vocianti e infidi e pronti a tradire, sempre, se stessi e gli altri) messi, come accantomobili, appunto, con le spalle al muro. Servimuti di forze ben oscure che non riconoscono e comunque, anche se ci sbattessero contro, non vorrebbero mai vedere.

Ed il tutto sarà tragico se non fosse già grottesco. Si potrebbe facilmente scrivere un lungo saggio sul decadimento morale che s’instaura quando le società dominanti sono in possibile vista della loro fine. Basterebbe elencare coloro che commettono crimini contro l'umanità, dei tanti loro servimuti e dei tantissimi che, schiamazzanti e felici imbarbariti (“…che non penetrano mai il loro involucro culturale, quasi fosse noto), li supportano, magari fingendo alternative varie o sempre li giustificano, autolesionisti  ingozzati… ed i cosiddetti colti, sovente ancora più dei rozzi.

Questo dovrebbe dissuaderci? Lo stanco e lo sfinito hanno buona scusa - comprensione - per arrendersi. Chi contesterà loro di mettersi da parte, tra così tanti renitenti?  Invece chi ha ancora residue forze per essere se stesso per un po” ed eventualmente accompagnare altri più giovani, senza illusione di vittoria e tema di sconfitta, fino ad intravedere il punto di trapasso, l’infernale imbuto che prima o poi ci convoglierà tutti nell’inevitabile, ebbene costui è abile ed arruolato.  Come una volta, apparentemente, senza andar per il sottile troppo, senza molto spulciare l’età… Meglio i giovani, ma vanno anche bene gli attardati od addirittura i vecchi. Come a capire che ormai sono i grossisti che ci servono… su questo piano, arrivati a questo punto del ciclo, a fronte di una marea inarrestabile di mali. Come si diceva altrimenti, il massimo di raffinatezza ormai ci servirebbe solo (magari)… per tagliare grosso.

Anche perché una superiore saggezza antico-occidentale confina il bene (costante, presente, possibile, veniente) in una sfera eminentemente empirica (…la strategia metaforica dei frutti, in Repubblica, VI, 508), mentre la sfera noetica è sempre molto problematica, non avendo il bene né trasparenza, né stabilità, né consenso, sempre costitutivi dell’idea. E ciò ci autorizza, anche in presenza di tutte le dinamiche comparative che abbiamo confrontato sull’oriente eterno, ove tutto-azione-rappresentazione e liberazione-estinzione-nulla si confrontano sempre produttivamente, ad utilizzare quello “scetticismo autentico” (di cui parla Burckhardt nelle sue Riflessioni sulla storia universale: “…Di quello falso è, in determinati tempi, pieno il mondo…”) di cui, invece, “…non se ne ha mai abbastanza” e che ci permette anche non solo di muoverci con maggiore spregiudicatezza nel campo dell’etica sociale, ma anche di non presumere troppo dalla bellezza, come si usa fare, oggi, pur del tutto comprensibilmente, in tempi instabili. “…La bellezza, certo, potrebbe esser superiore ai tempi e al loro mutare, e costituisce addirittura un mondo a sé. Omero e Fidia sono ancora belli, mentre la verità e la bontà di quei tempi non sono più interamente quelle nostre”.

E comunque, ineliminabili, i nostri avi ci osservano da un tempo immemore, arma virumque cano  (ma… ovviamente siamo più falsi noi, persino molto meno duraturi) e noi crediamo al sangue, al liquido che nel rapprendersi non mente e noi stessi poi potremmo ben essere questa pietas, su sostanze e forme.  Che è proprio il contrario del pietismo dei corrotti. Oltre ogni riproposizione, persino oltre il vero tragico d’ogni eventuale riduzione in farsa (l’umana condizione sempre agente), a cui cerchiamo di sottrarci, ma che in parte persino saremmo costretti a sopportare. 

Pensiamo ad esempio al corpo, al corpo d’arte, come è stato violato col numero, non salvaguardato nella sua insondabile volontà di vita ma elevato a sola potenza d’istinto… e nello stesso istinto innegabile, poi, mercificato fino a moltiplicarne le impotenze rivelatorie, a giustificarne i barocchi sadismi, ad irriderne le ineliminabili polarità ed a sopprimerne ogni ombra di sacro. Il corpo che noi amiamo.  Quell’equilibrio di bellezza, che parla costantemente a tutti, di ogni grado ed epoca. Geni mediocri imbecilli. Conculcatori e conculcati. Tutte le fughe in avanti,  a tal punto, erano ben giustificabili ed ovviamente sono state giustificate.  Ma è come se un perfido demiurgo ci avesse offerto soma velenoso, per ridurci a ciò che siamo, ora, conoscendo la nostra “artificiale” natura.  Ove la colpa, però, non può essere un metodo obbligato da una caduta lineare, ma semmai la ritornante serie di diversamente riproposti vortici e voragini… Una vacuità ed un destino, che bisogna capire fino in fondo, davvero in un sincretismo coraggioso e lucido, ove vari destrismi pretismi e sinistrismi siano dentro di noi definitivamente cancellati. Ove giustificare, al termine, l’anima, che, dagli egizi a noi ha cambiato inevitabilmente segno, non sia certo cambiato di senso.  Noi stessi, che  viviamo distinguendo senza albagia ma contrastandone le infinite derive, già giovani a volte troppo improvvisati, chissà… non siamo che dei riproposti e reiterati combattenti magari già andati in quiescenza forse senza neanche saperlo, od in una folle stasi, non certo imputabile a noi, già passati da qui, ora, da queste feroci dispersioni, persino in altre vite.

Ho letto con attenzione  Antico Futuro, da incallito e svergognato sognatore, e direi che dentro si ripropone tutto il nostro mondo... lucidità, consapevolezza, sprezzatura.  Anche il necessario lavoro quotidiano, assieme oscuro e splendente. Persino la temerarietà di chi sa di poter tranquillamente perdere, anche se i porta sfiga, i lamentosi e gli anarcoidi un tanto a twitt, li abbiamo purtroppo sempre subìti e mai amati.  Chissà forse è venuto il momento di lasciar andare, liberi negli spazi interstellari, definitivamente, anche costoro…

Ma in quel tragico, di cui parla chi più capisce, è meglio starci con una piega di sorriso (l’asobase kotoba di alcuni, il linguaggio-gioco di altri, prendendolo sul serio… ma non troppo) e senza lagni (…preferiamo, dal Poeta, lo schianto). Perché la  rappresentazione la vivremmo gloriosa. E perché noi si sia, poi,  necessariamente, nel tragico, e non, volontariamente, per il tragico (…anche se riconosciamo alla necessità ontologica tutte le potenzialità e le disavventure superumane che non concediamo facilmente alla fattuale posteriore rilettura storica).  

Così, nel libro giustissimamente ma sempre umanamente in noi, ad ogni deriva si ricompone il nostro desiderio di colore/vita, non ingredienti della cosa ma energie radianti, a cui le cose reagiscono per proprietà d’assorbimento ed a cui anche noi reagiamo come identitari percettivi.  Ai due estremi il bianco, se non assorbe nulla del visibile e riflette l’intero spettro ed invece il nero, se compiutamente assorbe ogni onda.  Il rosso - se lo vediamo a sua volta come unico espunto dallo spettro - e che dà - per celati consensi - metafora alla ruota perpetua del karma.  Il tricolore ancestrale, simbolo e logos, con la perenne empatica variante verde/azzurra, ben oltre ogni limitata riduzione al patetismo, più o meno buonista, che s’avanza ambiguamente, ora…

Sono le testimonianze visive/viventi, cercate per più vie, da pagarsi sempre con profonda comprensione di ciò che, contestualmente, avviene.   La cerca di forze e mai, mai, un arrendersi felice, si farà - crediamo - sempre più evidente, dal magma sempre da noi ricomponibile, che pur ci sfida logicamente ed  empaticamente ci tende una mano, fra possibili e innumerevoli, i non del tutto sommersi, i già (in parte intimamente) salvati...

Si rivela l’estrema umiltà di questa nostra ricognizione spietata, ma s’accampa col massimo orgoglio di poter dire: buon lavoro ragazzi! Avete presentato la realtà così com’è e nello stesso tempo lavorate e bene per un tempo altro, fantastico, realizzabile, condivisibile sia nella distanza che nella vicinanza. E freghiamoci proprio se i volti di troppi si storcono sempre più nella rabbia dell’inevitabile comunque voluto o subìto.

Come nell’apologo del samurai che infine mette alle spalle il suo avversario e sta per ucciderlo e si ferma e poi se ne va senza ucciderlo dopo che questi in un ultimo gesto, disperato, gli ha sputato addosso (…ma intendiamo che è troppo il capirlo per chi ormai non coltiva - per difetto, ovviamente - neanche l’ombra del parametro assoluto del Sé). Allora sappiamo che il cosiddetto punto archimedico non è fuori degli accadimenti e che l’altra sponda è proprio questa dove siamo ora (non c’è maggior onore - da conquistare - da Altre Parti). E se (dubitando) crediamo quell’altra sponda sia la preferibile (o, metafisicamente, proprio un’altra) è solo perché abbiamo perso il nostro controllo sull’agire senza agire, ch’è collegato allo scenario non-duale, più veritiero tra tanti, perdendo lucidità dopo aver cercato disperatamente di delucidare il tempo. “…Ho perso il mio centro a combattere il mondo”.  E’ comprensibile, ma proprio questo non ce lo possiamo permettere. Tersi, anche nell’acme della nostra reattività più spinta, attuale e futura.

Per cui non aver nessuna paura di sperimentare sempre, tagliando ogni svolazzo, qualsiasi sia la prima reazione che divarichi letture varie, sulle e delle pratiche… sappiamo che è poi la realtà dura a imporci il ritmo, ed a schiacciarci, anche noi, seppur in altro modo, magari per accelerazione gravitazionale, al muro.

Figuratevi per un attimo un’europa futura, imboscatasi sempre più nei sotterranei della storia, con la furbizia malcelata dell’impotente, che sa bene, anche nelle sue burocrazie più proterve e nelle sue alleanze di facciata, sempre infide, quanto sia fragile la tenuta di popoli diversamente sfiancati. L’animale che geneticamente rifugge nella tana e sistematicamente dal confronto, perché ormai il territorio è contestato (diciamo abbandonato… dopo infiniti scontri) sotto il rapido esterno ove occhiuti predatori svolazzano o strisciano per necessario istinto e per non ancora abitudine persa. La retorica impettita è tutta fuori dalla tana. Gli apparentemente buoni sentimenti. Quando… allora sì, vedette inquiete, più o meno ritti, si occhieggia all’alto ed alle fronde e ci si fa utile e sodale coraggio, con gli allarmi.  Dentro c’è solo il vuoto caldo, l’usuale stantio e la salvezza sperata, più o meno...  Quando sarà, proprio così da tutti incontestabilmente, allora le realtà e le illusioni altrimenti ben salvifiche dell’arte diverranno secondarie, (di cui sopra… Omero e Fidia) non certo per valore/disvalore intrinseco, ma per necessità, ed ogni nostro accapigliarci sulle corrispondenze arte/vita l’illusione di fanciulli (od una triste parodia dettata da incubi e tremori) in un orfanotrofio abbandonato in mezzo a schianti, torture, vilipendio.

Forse è per questo che alcuni atti estremi (cosiddetti) dell’arte rifuggono del tutto, come peste, dai veri bolliti nelle pentole, dai veri bruciati nelle gabbie, dai veri sgozzati e sollevati a trofeo pei capelli e da tutti quelli buttati nelle fosse…

Mi attenderei (ma non ci credo proprio) che qualcuno seguisse (sul serio) le orme feroci del vero. Magari inorridendo come tutti.  E i suicidati dell’arte sono quelli che più si sono, comunque,  avvicinati…  Ma è come se l’arte pretendesse proprio di non essere mai troppo reale, di dare sempre di gomito e di rappresentare solo sogni, proiezioni, contraltari, tendenzialmente evasivi, suadentemente devianti, tra i parodianti a volte pure orrifici, ma intimamente distaccata (…infatti è un’altra vita, su tutt’altro piano, chissà, forse più reale), persino se ci affascini, esalti, trasformi. Io stesso - che pure ne vivo - la considero solo una lettura, nella grande rappresentazione della vita…

Così a noi artisti, poeti e variamente pensanti non residua comunque che testare che ogni ascesa voluta comporta rischi e ogni non evitata battaglia, da quelle carsiche a quelle frontali, un discutere disperatamente, ma alla fine, di tutto (senza presumere di noi, se non il giusto), decidere, partecipare, pagare…

 

“ANTICO FUTURO”
INDICE:
Vitaldo Conte
RICHIAMI DELL’ORIGINE NELLE “APPARENZE” DELL’ARTE DI OGGI
Premessa.  Vita come Arte Ultima.
Grecia Mediterraneo Salento: richiami rumori di arte bianca.
L’Arte-Donna e la Geo-Architettura come Mediterraneo.
Ambienti di arte come anima Il corpo ferito come arte e rigenerazione.
Il trucco e il tatuaggio come riti dell’anima.
Riflessione. Nelle “apparenze” dell’arte di oggi.
Documenti: Giovanni Sessa, Carmelo Strano,
Vitaldo Conte
MALIE PLASTICHE
Scultura come poesia.
Scultura nell’Arte Italiana del Novecento.
Dalmazio Frau
IL PALAZZO DELLA BELLEZZA
L’Arte come Vita.
La forza dell’Arte.
Politica dell’Arte.
L’Arte è di tutti.
Arte oggi.
L’Arte come piacere.
L’Arte come avventura.
Documenti: Simonetta Bartolini, Angelo Crespi, Claudio Lanzi.
Dalmazio Frau
UN ANTICO FUTURO
Emanuele Ricucci
ARTE. LA STRADA DEL RITORNO PER L’ANTICO FUTURO
L’Arte non è roba da pittori, ma da uomini.
L’Arte bucherà il sistema come un ago incandescente.
Il matrimoney dell’Arte con la contemporaneità.
Tra funzione e modernità: da Photoshop alle periferie. S’incarna il presente.
 
 
[ISBN-978-88-3305-043-0]
© 2018, Edizioni Solfanelli
www.edizionisolfanelli.it
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