“L’infinito Sessantotto raccontato da Stenio Solinas” di Luca Fumagalli

A mezzo secolo di distanza, il Sessantotto continua a produrre nostalgici e santoni, malati di reducismo che ammorbano i palinsesti televisivi e le colonne dei giornali con le loro fastidiose ovvietà. Settantenni pensionati, più borghesi dei borghesi, ora occupano i posti chiave di quel potere che avevano contestato nelle piazze e nelle università. Pretendono di incarnare un ideale giovanile che, ormai, è passato da un pezzo. Tutto questo, poi, nel totale disinteresse nei confronti di chi oggi ha vent’anni e un domani senza pensione. Sono antifascisti patentati, vuoti manichini del conformismo, ma nessuno di loro sembra chiedersi quanto l’ “immaginazione al potere” contemplasse Berlusconi, Renzi, Grillo ecc.
Con L’infinito Sessantotto (La Vela, 2018), il giornalista Stenio Solinas, commentatore politico e critico letterario, cerca di capire in che modo l’Italia attuale, la sua crisi economica, il suo cortocircuito politico, la disaffezione per la cosa pubblica che va di pari passo con l’insipienza della classe dirigente, affondi in quella di ieri, ne sia l’amara conseguenza o la triste negazione. Il libro, dunque, non è la solita analisi del Sessantotto visto “da destra”; è soprattutto un’opera di demistificazione e costruzione, penetrante e a tratti impietosa, di un’epoca che, come la proverbiale montagna, ha partorito il topolino del presente.
Bravissimo nel cogliere l’atmosfera psicologica e culturale dell’anno caldo della contestazione, Solinas imbastisce un agile volumetto, profondo e di facile lettura, costituito nella seconda parte da un vecchio pamphlet dello stesso autore, Macondo e P38, ristampato per l’occasione in virtù della sua sconcertante attualità. Né mancano preziose chiose a margine come la prefazione di Marco Tarchi e uno scritto di Franco Cardini.
L’infinito Sessantotto si situa a pieno titolo nel solco della vasta bibliografia di Solinas che racconta la storia di un Paese allo sfascio, che dalla pseudo-rivoluzione sessantottina è caduto nell’omologazione consumistica. Tra i dilemmi di un’identità smarrita e la traumatica stagione del terrorismo, il Sessantotto è la parabola di una generazione che si è imbevuta di utopie e ideologie ribellistiche senza riuscire a travasarle in uno sforzo rivoluzionario, scivolando lungo la china di un individualismo nichilistico il cui sbocco non poteva che essere il riflusso in quel “privato” borghese cui le giornate di Maggio avevano dichiarato a suon di slogan una guerra senza quartiere.
Il Sessantotto, per concludere, non fu una rivoluzione, né un fuoco di paglia. Fu una via di mezzo, in fondo tipicamente italiana, i cui amari frutti continuano a essere sotto gli occhi (distratti) di tutti.
 
da: www.radiospada.org
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