“L’individualismo statalista” di Giancristiano Desiderio: un’ossessione dell’assistenzialismo democratico

E’ il potere che esercita un’azione tesa a corrompere gli italiani o sono gli italiani che, con tenacia prossima all’ostinazione, cercano di conquistare il potere corrompendolo o adattandolo, nella migliore delle ipotesi, ai loro interessi? A vedere ciò che accade, non mi pare ci siano dubbi: la seconda ipotesi è quella più convincente. Sono i cittadini, attraverso pressioni, ricatti, condizionamenti ad indurre chi dovrebbe rappresentare le istituzioni a tutti i livelli ad assumere decisioni “popolari”, vale a dire soddisfacenti le ambizioni di singoli e gruppi che con il voto, mitizzato oltremisura, inducono le classi dirigenti - peraltro non sempre in buona fede - ad assecondare il volgo, come si diceva una volta. La demagogia che abbiamo visto dispiegarsi sontuosamente nel corso dell’appena conclusa campagna elettorale prova inoppugnabilmente che se si volessero tracciare nell’Italia di oggi (ma il problema è antico, comunque) “profili del coraggio”, per dirla con un saggio celeberrimo di John F. Kennedy, l’impresa risulterebbe ardua per chiunque. E allora, inutile girarci intorno: il vizio d’origine della endemica crisi italiana (per restare nel cortile di casa nostra) non discente da questo o quel sistema politico-istituzionale, ma da una sorta di virus, come lo definiva Indro Montanelli, insinuatosi nelle vene del popolo ed ha un nome che non ammette eufemismi: corruzione.

Beninteso, prima che economica, sociale, amministrativa e politica, la corruzione con la quale abbiamo a che fare è morale. Gli italiani hanno raggiunto l’invidiabile primato di soggiogare lo Stato ed assoggettarlo ai loro fini condizionandolo attraverso chi ha il potere di gestirlo. Giancristiano Desiderio, in un brillante quanto amaro saggio, L’individualismo statalista, (Liberilibri, pp. 132, €.15,00) traccia una sorta di ideologia di questo fenomeno che utilizzando sistematicamente la corruzione ha finito per conquistare lo Stato. Ed i politici, promettendo ciò che non possono mantenere, si sono adeguati al punto di vellicare gli istinti più bassi, deplorevoli e immorali che caratterizzano la società degli odianti, quella, per essere chiari, che da egualitaria si sta trasformando sotto i nostri occhi nella società della prevaricazione, della fine del senso comune gabellato per “bene comune”.

“Gli italiani - scrive Desiderio - sono individualisti statalisti. Tanto sono realisti e concreti, avveduti e pratici, furbi e accorti, interessati e scrupolosi nel governo della vita privata, quanto sono astratti e finti, superficiali e invidiosi, boriosi e risentiti, dottrinali e pelosi nel governo della vita pubblica”. Insomma, finché devono governare loro stessi gli italiani riescono piuttosto bene, quando escono dal “particulare”che li riguarda sbracano al punto di affidare i destini del Paese a chi meglio promette di svuotare le casse dello Stato per elargire le comuni risorse a fini clientelari. L’individuo, insomma, è contro lo Stato finché lo Stato fa quello che dovrebbe; diventa statalista quando ha la possibilità di penetrare nelle sue fibre fino a smantellarlo con la complicità determinante di forze politiche che hanno pure la faccia tosta (soprattutto quelle meno rozze) di presentarsi con la patente degli assertori dello “Stato minimo”.

Ma non è di questo che un Paese come l’Italia ha bisogno. Necessita dello Stato, ma non di uno Stato che tutto è chiamato a fare tranne che adempiere alla sua funzione. E dunque, di uno Stato migliore si avverte la presenza, constatandone l’assenza, che machiavellianamente  s’ingegni a sostenere la “verità effettuale” e non il desiderio privato di monadi vaganti negli ambulacri del potere al fine di estorcere prebende e facilitazioni ai danni della comunità nazionale, dunque, paradossalmente, di chi si adatta a mendicare “posti” piuttosto che lavoro.

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