Il "nuovo realismo" nella poesia e nella poetica di Nicola Romano

di Guglielmo Peralta - Il titolo di un'opera è la sua cassa di risonanza, lo specchio che ne riflette la centralità, e solitamente è presente all'interno di uno o più testi. In questa silloge di Nicola Romano, del titolo non c'è traccia nei versi; esso non è mai espressamente nominato ed è riportato implicitamente in alcune poesie: là dove è forte il risentimento di fronte alla quotidianità delle tragedie e alle crisi irrisolvibili che avvelenano, appestano la società mondiale. Il «trambusto», oltre ad essere riferito in maniera più immediata a questo nostro mondo in rovina che deflagra, è anche il termine connotativo dello sconvolgimento, del turbamento interiore che il nostro poeta avverte come scacco dato alla vita e alla poesia, la quale, in quanto ama la vita e ne riflette l'intrinseca bellezza, dovrebbe custodirla e proteggerla dai mali, dalla cattiveria, dalle violenze, dalla follia dell'uomo, che ne minano sempre di più il valore rendendola insicura e precaria e che arrischiano l'esistenza stessa della natura e del mondo.

La Poesia è il superamento delle soggettività, della «misura»; è l'«oltre» dell'uomo, e i poeti che la corteggiano e ne ricevono il nome e l'investitura vanno oltre la semplice natura umana. Essi perciò sono i più "arrischiati", i più audaci e disposti a denunciare il torbido, tutto il marcio che appesta la vita e rischia di annientarla. Grande, quanto la loro denuncia, è la sofferenza dei poeti. L'amore per la Poesia, per la Bellezza rafforza il loro legame con la vita; più è forte l'attaccamento ad essa, maggiore è il distacco da ciò che limita e mette a rischio l'esistenza, e maggiore è la "dis-misura", con la quale crescono la rivolta, il dissenso, la rabbia, il dolore per l'irredimibile umanità. Nicola Romano - il poeta - non fa eccezione. Il «continuo trambusto» è la regola, che gli dà la «misura» di ciò che attenta incessantemente alla vita. Ed è l'anelito all'assoluto, la sua fedeltà alla Poesia e, al tempo stesso, il tumulto dei sentimenti contrastanti, che «le cronache funeste della vita» suscitano e che sembrano segnare il destino dell'uomo e del mondo, e che allontanano quell'assoluto, al quale egli si sente vicino e legato. In "Vertigini" troviamo il più alto grado di tensione in quei «nembi di morte» che «minano / il cielo» e in quella Bellezza personificata che, con mesta rassegnazione, «annuncia la sua fine» di fronte alla minaccia nucleare. Se da un lato, il «trambusto» che, come abbiamo già notato, non è mai nominato nei versi e figura solo nel titolo della raccolta, lo avvertiamo maggiormente, “sensorialmente” dove il mondo sembra deflagrare, dall'altro lato, la sua connotazione emotiva è rilevante là dove esso è silente, dove «bofonchia il nulla / con la sua voce spenta», dove «ha forma il niente / che sconfinato prende / rapisce ti consuma / e non sai dargli un nome». Ed è rivelata, soprattutto, in "Quello sbagliato": testo originalissimo, dove Nicola Romano chiede di essere additato, appunto, «come un uomo sbagliato» in quanto poeta puro, amante del bello, del vero, del giusto; rispettoso dei principi universali dell'ordine morale; insofferente della volgarità, dell'egoismo, dell'irrazionalità, delle bassezze umane; «mila miglia distante» dagli uomini falsi, ipocriti, corrotti, violenti. E, dunque, per dirla con Nietzsche, "Spirito libero" che si eleva su tutto ciò che è "umano, troppo umano".

      Ciò che turba e sconvolge Romano è anche la "presenza" della morte: non quella oggettiva,  impersonale, ma l'evento che irrompe inesorabilmente nella coscienza e vi si insinua come un tarlo facendosi così pensiero dominante. Questo pensiero della fine si lega a «un precoce rimpianto», che è, per il nostro poeta, sia l'amara consapevolezza di dovere abbandonare quanto gli è più caro, e dunque anche la bellezza, di cui non si gode mai abbastanza e che egli nomina ed enumera nelle semplici cose, dove essa tutta si raccoglie, sia il rammarico per tutto ciò che continuerà ad essere e che per lui non sarà più. Dunque, il rimpianto, che nel suo etimo originario è nostalgia del passato, o disappunto per ciò che non è stato, per le occasioni perdute, per l'attimo non colto, qui, in questa nuova originale accezione "coniata" da Romano, il rimpianto è nostalgia del futuro, del tempo custode della bellezza, la quale non gli apparterrà più. In questo capovolgimento del significato del termine si coglie il suo amore profondo  per la poesia della vita.

      L'amore per la poesia esalta l'attaccamento alla vita, e questo legame biopoetico rende più incisiva la denuncia della realtà sociale, divenuta "umana, troppo umana" per mancanza, paradossalmente, di umanità. L'«uomo sbagliato» è l'uomo che, come egli si autodefinisce nell'originalissimo testo intitolato "Contesa",  sa interrogarsi, mettersi in discussione, controllarsi, apostrofarsi, perdersi e ritrovarsi, cercarsi e raggiungersi, e che tuttavia non si basta, perché insoddisfatto per l'impossibilità di pervenire alla piena conoscenza di sé. Ed è, ancora, l'uomo che «non si disperde / nella mediocrità del quotidiano» e, dunque, è  l'uomo della «concretezza», del realismo come sentimento del bello, nel senso che la bellezza è la realtà desiderata, quale dovrebbe essere. Il nuovo realismo nella poesia e nella poetica di Nicola Romano, di cui ci sono molti aspetti nella sua precedente raccolta intitolata "Voragini e appigli", è fare della bellezza la centralità della vita e praticarla nell'attesa dell'uomo a venire, dell'individuo dall'identità inequivocabile, somigliante a quell'«uomo sbagliato» e degno di appartenere a ciò che chiamiamo natura umana. Imparare l'arte di vivere risponde all'idea di una realtà in linea con la poesia e con la bellezza. E da questo punto di vista, Romano è maestro di saggezza, perché in lui vita e poesia hanno un unico respiro, che resiste al «trambusto» ed è linfa che nutre le parole, dentro le quali prende forma e consistenza il sogno, quell' «utopia vagante», che è l'altro nome della realtà: quella altrettanto "sbagliata" e in armonia e in consonanza col nostro poeta. 

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