“Elio Giunta: il poeta dall’umano pensiero” intervista a cura di Gino Pantaleone

Poeta, scrittore palermitano. Vanta lunghi decenni di attività come docente di letteratura e come critico ed opinionista su quotidiani e riviste. Ne fanno fede numerose pubblicazioni, tra le quali da considerare di maggior rilievo: Dacci oggi la nostra mafia quotidiana, Penultima lezione, Elogio del pessimismo, Il diritto al disprezzo, Antologia del pensiero scomodo, Ripensare l’unità d’Italia, Dal dì che nozze, tribunali ed are-Saggio sulla crisi della civiltà contemporanea. Di rilievo anche le monografie d’arte: Caravaggio e Lyssenko, Gauguin e Christolubov.
Tra le sue opere di poesia più note: Recuperi possibili, Bivacco immaginario, Filottete, Dai margini inquieti, La mia città. Si legge in un suo scritto: “Non si è poeti perché se n’è avuta investitura o perché qualche amico o conoscente prestigioso ti ha esaltato o ti esalta sui giornali che contano. Lo si è perché si è in possesso di un io destinato ad offrirsi agli altri, esprimendosi con gl’ingredienti letterari tipici della poesia: l’immagine, l’icasticità sonora della parola. Ma se quest’io va agli altri, cioè appunto si esprime, vuole essere portatore di qualcosa, per esempio, di una più acuta interpretazione del tempo. Per quanto mi riguarda l’io del poeta filtra il tempo nel tempo; e non credo ci sia poesia di spessore, se essa non coincide con la filosofia del vivere il tempo, del soffrire il tempo, del dannarsi nel tempo auspicandone qualche riscatto. Magari se n’è sconfitti, ed io sarò pure uno sconfitto, ma nel campo di battaglia lasciato dal mio vivere e pensare, ci sono dei resti da contemplare: amore, comprensione tradita, vane attese. E’ la mia poesia.”
Da ricordare anche alcuni suoi titoli di narrativa: I moralisti, Storie d’amore, Seminario dell’adolescenza, Dal diario di Orazio Cantelo.
E’ stato fautore per diversi anni degli incontri a Palermo al Centro Pitrè con alcuni tra i più illustri protagonisti della letteratura del secondo novecento, con i quali aveva frequenza, della quale ha dato testimonianza nel pamphlet Romanzo letterario palermitano.
 
Intervista.
 
Quando e perché hai cominciato a sentire il bisogno di mettere per iscritto i tuoi versi? C’è un’immagine nella sua memoria che ti ricollega al momento in cui hai deciso il suo percorso letterario?
 
Probabilmente è stata la solitudine che provai nell’infanzia. Io penso che tutti noi abbiamo la poesia dentro, tutti gli uomini e le donne l’hanno dentro, poi c’è la circostanza che la fa tirare fuori. Allora io penso che sia stato questo, l’essere stato in collegio nel periodo della guerra, gli anni ’40. Ero un ragazzino ed ho ricordato questi momenti in un romanzo dal titolo Seminario dell’adolescenza. Quando è scoppiata la guerra, nel 1940 avevo 10 anni, i miei genitori si preoccuparono perché la violenza della guerra era facilmente palpabile. D’accordo col parroco, per salvarmi (secondo loro), mi portarono in un collegio in Umbria. Dopo poco, i miei genitori mi raggiunsero. Questo particolare ha fatto scattare in me il desiderio di mettere tutto per iscritto. In collegio c’era un mio compagno che scriveva pure lui poesie e, fortunatamente, ognuno stimolava l’altro alla scrittura e ai versi. Questo è stato il mio inizio. Tutte queste sono state esperienze formative. La poesia che io ho inteso mandare in giro come mia espressione di poeta, però, è stata molto dopo, intorno agli anni ’70, tra l’altro spinto dalle mie letture e dalla mia frequenza con il meglio della letteratura del ‘900 e anche on gli incontri delle personalità del ‘900. Negli anni ’70 conobbi Mario Luzi e fu lui che mi fece la prefazione al mio primo libro che io ritengo essere il libro di inizio della mia carriera letteraria che è Paradigma 2. In una prova di poesia pubblicai un libretto intitolato Paradigma e la pubblicai d’accordo con Lucio Zinna però in un ambito ristretto. Poi pubblicai il libro più consistente ed interessante dal titolo Paradigma 2 con la prefazione di Luzi.
 
Rilke disse provocatoriamente che “I versi non sono come tutti credono sentimenti. I versi sono esperienze”. Quanto c’è di vero in questo?
 
Credo che sia tutto vero. Il sentimento è una componente della poesia, ma la poesia fondata solo sul sentimento non è significativa. Quando tutta un’esperienza di vita, tutta una sostanza interiore si codifica, allora nasce il testo poetico.
 
Dove e quando scrivi poesie? Hai momenti particolari? Luoghi particolari? Condizioni particolari? Preferisci il silenzio, il sottofondo di una musica, i normali rumori della natura…)
 
No. Nulla di tutto questo. All’improvviso, senza artifizio alcuno, mi viene la voglia di scrivere ciò che sento, ciò che penso, mi siedo, scrivo, butto giù, poi ci torno sopra e perfeziono. Ma sono momenti qualsiasi e inaspettati, come un urgere, ovunque e dovunque. Ricordo sempre con una certa emozione il giorno in cui mi trovavo in Piemonte, in inverno, attraversando solchi di neve. Io, in quel silenzio, ebbi delle sensazioni e scrissi dei versi (parliamo però degli anni ’50) e che ancora oggi li ho cari.
 
L’avido volto del tramonto
Trascolora le siepi
E l’ombra greve del vespro
Incombe sul mistico svanire delle cose.
 
Scende la pace dei campi
Solenne sulle nostre ansie.
 
Questo testo degli anni ’50 mi è carissimo.
 
Tra tutte le raccolte di poesie che hai scritto ce n’è una in particolare a cui tieni particolarmente?
 
Si. Credo che sia l’ultima che ho pubblicato dal titolo La mia città. Questo volume raccoglie dei testi vari e siccome ci sono dei testi che riassumono la mia condizione esistenziale, ci tengo particolarmente, anche per il mio distanziarmi dalla cultura di questa città in cui io vivo ma che non amo. In questo testo c’è una mia prefazione in cui io faccio delle dichiarazioni per me molto importanti. Credo che come poeta e letterato mi piaceva essere ricordato per questo testo pubblicato dalla casa editrice Spirale di Milano. In questa casa editrice l’entourage avevano una grande considerazione di me e fecero un libro bellissimo ma costoso a tal punto da essere non molto commerciabile.
 
La domanda d’obbligo: che cosa è la poesia?
 
Non ci ho mai pensato a dare una definizione di poesia. Penso che il poeta non si pone questa domanda perché non si trova una risposta esauriente. Poesia, per me, è l’eccezionalità della vita.
 
Se dico 'tutti sono poeti' quanto sono lontano dalla verità?
 
No. Non molto. Tutti sono poeti se hanno umanità. Se nel loro istinto c’è l’altruismo si è poeti, tutti. Dove c’è egoismo, la poesia non esiste.
 
Perché bisogna leggere la poesia?
 
Prima di ogni cosa bisogna dire una cosa importante. Oggi la crisi che noi lamentiamo della società specialmente giovanile è dovuta al fatto che non si legge poesia. Nelle scuole non si legge poesia, mentre nelle nostre vecchie scuole addirittura le poesie si imparavano a memoria di Carducci, di Pascoli, di Leopardi… Ho dei nipoti che vanno a scuola e in tre anni non hanno studiato una sola poesia. Invece la poesia bisogna leggerla perché educa all’umanità. Non leggendo poesie si è facile vittima della bestialità.
 
In merito al tuo “Elogio del pessimismo” che mi dici?
E’ importante per me questo concetto. Lo scrittore, il letterato spesso viene accusato di pessimismo. E allora io salvo la posizione dello scrittore come la posizione di colui è meglio essere considerati pessimisti, ma nello stesso momento grandi ricercatori della verità, piuttosto che essere uno che acchiappa tutto alla meno peggio.
 
Che relazione c’è tra la scrittura e la società, con le sue influenze politiche e culturali? E come convivono questi aspetti nella tua produzione letteraria?
 
Per risposta a questa domanda ci vorrebbe un trattato. E’ un concetto importantissimo. Il rapporto tra la poesia e la società è fondamentale. I grandi poeti, ad esempio, sono stati sempre contaminati dai problemi della società, basta uno per tutti: Dante Alighieri. Certo ebbe poi una concezione errata della sua società, però era stimolato da quella società. E di cose buone ne ha dette a proposito… Non è che il poeta può dare lezioni alla società però è una presenza che arricchisce la società e se non c’è la impoverisce. Ma, ripeto, è un tema su cui ci sarebbe da fare una conferenza.
 
Che ne pensi dei poeti e della poetica contemporanea?
 
Io penso che la poesia contemporanea è finita col post-ermetismo; è lì l’ultima sponda, perché leggo le proposte di poesie che vengono dopo. Quando io parlo di post-ermetismo mi riferisco a Luzi, Sinisgalli, Montale… Oggi abbiamo una poesia che ha relazioni con questo e la originalità dei poeti di oggi consiste nel rivelare se stessi ma in una forma che richiama quel mondo. Io penso ancora che la buona poesia si faccia al sud Italia. Vedo delle pubblicazioni edite anche da Mondadori che danno l’idea di una prosa rimasticata, manca, cioè, la sostanza interiore.
 
Pensi che ci sarà un momento della storia dell’umanità in cui la poesia cesserà d’esistere?
 
Penso di no. Io penso finchè ci sarà un uomo che ama, un uomo che soffre, un uomo che ricorda, la poesia ci sarà, sempre
 
Credi che ogni poeta debba prestare attenzione al proprio processo creativo?
 
Penso di si. Magari in un momento di revisione. A me succede! I miei testi poetici, riletti dopo tanto tempo li, sottopongo ad una specie di esame e tra me e me dico “questa passa, per me va bene”. Si c’è questo processo di revisione che viene a posteriori.
 
Che rapporto hai o hai avuto con le case editrici? Esiste ancora un luogo ideale di incontro/scontro tra autori?
 
Rapporto con le case editrici che contano (e qui è un grosso problema), che ti possono dare un po’ di lustro, avvengono per coincidenze casuali. Ma questo è avvenuto per tutti. Non dobbiamo dimenticare che Ungaretti pubblicò il suo primo libro a sue spese e la stessa cosa fece Mario Luzi. Poi è nato il rapporto con l’editore per circostanze casuali e che non riguarda in genere la poesia. Anche oggi la maggior parte dei poeti pubblicano a proprie spese e lo fanno anche per confrontarsi con se stessi e io non trovo negativo questo. Mi pare una cosa buona solo che bisogna mettere anche un po’ di ordine in questo, ci vorrebbe l’amatore manager che purtroppo manca.
 
Ci sono ancora luoghi d’incontro a Palermo?
 
A Palermo non ci sono più luoghi d’incontro tra poeti, scrittori, artisti in genere. Anche precedentemente, i poeti famosi si parlavano tra di loro ma difficilmente s’incontravano, almeno che non c’era l’occasione che li invitavano in incontri ad hoc; non c’era e non c’è tutt’ora. E’ esistito solo a Firenze il celebre Gabinetto Vieusseux luogo essenziale dell’800 e del ‘900 dove io stetti seduto accanto a celebri esponenti dell’ermetismo. Lì conobbi Bigongiari, Oreste Macrì e Aldo Rossi. Mi accadeva di avvicinarmi agli amici poeti che si incontravano al Caffè Concerto Paszkowski di Firenze. Ma il luogo di incontro letterario era al Palazzo dei Pazzi proprio al Gabinetto Vieusseux.
 
Tu sei stato fautore per diversi anni degli incontri a Palermo con alcuni tra i più illustri protagonisti della letteratura del secondo novecento. Me ne parli?
 
Avendo assistito ad incontri culturali che ritenevo insignificanti qui a Palermo mi sono introdotto ed ho trasformato quello che era un centro di cultura diciamo così, tra amici, in un centro di cultura nazionale. Ho approfittato dei miei rapporti, delle mie conoscenze e anche di qualche amicizia che contava per portare qui a Palermo le illustri personalità della letteratura del novecento. Non con lo scopo (come qualcuno ha affermato) di applaudire chi veniva da fuori, ma con lo scopo di creare un rapporto tra il fuori e il dentro e penso di esserci riuscito. Luzi, ad esempio, ha fatto la prefazione a me ma la fatta anche ad altri, grazie a questi incontri. Ne è venuta fuori un’attività fervida e si è incrementato l’amore per la letteratura a tal punto che vennero al Centro Pitrè e ci tenevano ad aver presentate le opere quelli che scrivevano poesie tra i migliori di Palermo. Lì al Centro Pitrè (che si trovava in via Giorgio Castriota) sono stati Piero Longo, Taormina, Lucio Zinna, la Cerniglia, la Alaimo, Tommaso Romano, quelli che ancora oggi sono i migliori nomi della letteratura. Il locale era un posto caratteristico, una specie di cava, attrezzata per incontri di questo genere, si prestava anche dal punto di vista folclorico e le sedute erano affollatissime. Lì si sono fatti incontri di poesia ma si sono fatti anche incontri sull’editoria, sul teatro, lì venne Michele Perriera, lì venne Umberto Rizzitano. Incontri su tutti gli aspetti della cultura. Un centro di grande movimento.
 
E per finire, un gioco: uno, due, tre poeti che hanno condizionato la tua scrittura? Un poeta italiano, un poeta straniero. Tre libri su tutti che hai letto e che hanno arricchito il tuo essere poeta, scrittore.
 
Senz’altro Mario Luzi perché ha insegnato ad essere poeti di pensiero, quindi un poeta filosofo. Il pensiero insistito non fa mai poesia ma il sentimento arricchito dal pensiero fa la grande poesia. Un poeta straniero su tutti potrei dire Walt Whitman ma anche William Shakespere mi ha arricchito tanto. Per quanto riguarda i tre libri è davvero molto difficile dire e scegliere tre soli libri che hanno arricchito la mia vita. Reputo indispensabili “I Promessi Sposi”, poi la lettura degli scritti di Sofocle e per quanto riguarda i recenti Camus. Manzoni per la soluzione della tematica pratica della vita, Sofocle per la profondità esistenziale e così Camus per quell’esistenzialismo irrisolutivo che ciascuno di noi sente specialmente ad una certa età quando si tratta di fare il consuntivo della propria vita.
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