Antonio Russello, ovvero l'eleganza della scrittura

di Nicola Romano - Nonostante la pubblicazione del romanzo La luna si mangia i morti avvenuta nel 1960 con la collana «La Medusa degli italiani» della Mondadori grazie ai convinti favori di Elio Vittorini (che, come sappiamo, rifiutò invece la pubblicazione de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa); nonostante la bella recensione dell’allora emergente Leonardo Sciascia sul giornale palermitano «L’Ora» del 2 marzo 1961; nonostante l’altro romanzo Giangiacomo e Giambattista uscito nel 1969 con i tipi di Flaccovio e che l’anno dopo fu finalista al Premio Campiello insieme a volumi di Moravia, Cassola, Gadda e Soldati; nonostante il lusinghiero giudizio critico espresso nel 1970 da Giancarlo Vigorelli sul giornale «Il Tempo», Antonio Russello è rimasto sempre fuori da ogni inventario degli autori e fuori da ogni antologia letteraria. Ma, così come ogni medaglia ha il suo rovescio, a tale incomprensibile abbandono dovrà corrispondere senz’altro, e quanto prima, la riscoperta degli effettivi spessori letterari di Russello, così come attendono di essere prese ampiamente in considerazione le figure e le opere di altri valenti autori siciliani che rispondono ai nomi di Antonio Pizzuto, Raffaele Poidomani, Salvatore Spinelli, tanto per citarne alcuni.

Antonio Russello nacque a Favara il 19 agosto del 1921, laureatosi a Palermo in Lettere moderne, nel corso della sua vita ebbe a pubblicare numerosi romanzi, racconti e diversi drammi teatrali, collaborando alle pagine culturali di alcuni quotidiani e diventando anche redattore del «Sestante Letterario» diretto da Corrado Govoni. Fin da giovane si trasferì al Nord dove, dopo aver lavorato per tre anni in una banca a Venezia, insegnò Lettere italiane in diverse città che raggiungeva regolarmente in treno essendo egli sfornito di patente, e proprio il treno fu il luogo dove scrisse gran parte delle sue pagine. Ogni tanto ritornava nella sua Sicilia, a Favara, o nelle contrade agrigentine di Cannatello e di San Leone, giacché i suoi luoghi natii lo caricavano d’ispirazione. A tal proposito, per capire quanto la sua sicilianità abbia influito nel tessuto narrativo delle sue opere, occorre riportare il seguente pensiero che Russello inserì in premessa al suo primo romanzo: C’è una fedeltà al di fuori della quale se l’autore si mette, rischia di essere orfano, rischia che la sua terra gli diventi matrigna…ora io penso che si può essere fedeli a se stessi solo quando l’ispirazione ci riporti sempre alla stessa terra, ci schiacci sempre quell’urgere di terra e cielo e sangue i quali, come destino, perciostesso che continuamente premono, vogliono essere placati come spiriti cattivi, con l’evocarli. E’ morto a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, il 26 maggio del 2001.

L’editrice Santi Quaranta di Treviso ha ristampato, dal 2002 al 2011, diverse sue opere (L’isola innocente, la Luna si mangia i morti, Storia di Matteo, La danza delle acque, Siciliani prepotenti, La grande sete, Finestre sul Canal Grande, In viaggio con l’auto-ferma) anche se pietra miliare rimane il romanzo La luna si mangia i morti, e tale ristampa ha inteso restituire merito, con ottima riuscita, ad un autore siciliano che se adeguatamente valutato a tempo debito avrebbe potuto partecipare a buon diritto al confronto fra le più significative opere letterarie del trascorso Novecento. Purtroppo, come sappiamo, non è mai facile comprendere i motivi di talune cecità da parte della critica (ritenuta) ufficiale, carente a volte di lungimiranza o di senso della ricerca. Il romanzo, scorrevole ed affabulante, ci immerge nelle atmosfere di una povera realtà contadina siciliana a famiglia patriarcale, inserita nel contesto sociale degli anni Venti. Pur nella pacatezza e nella fluidità delle ambientazioni prevalentemente paesaggistiche o bucoliche, rilevanti sono i contrasti tra le serene descrizioni tipiche di una saga familiare e le vicende brigantesche di quell’epoca, tra l’umile condizione dei protagonisti e la simbologia accattivante di una classe più ricca ubicata nelle vicinanze, stato sociale da cui comunque viene tratto soltanto l’aspetto più estetico ed emozionale.

Ma la cifra predominante di tutto quanto il romanzo è lo spiccato tema del “ritorno”, un proficuo ritorno alle proprie radici e alle proprie origini, metafora di quel nostos che ribolle nel sangue di chi si allontana da una linfa che lo ha imbevuto e che diuturnamente continua a scorrere puntualmente nelle vene: e perfino il dettato sintattico dell’opera risente di questa linfa siciliana che si scorge alimentare tutte quante le righe, connotando convenientemente un linguaggio che si avvale di frequenti passaggi poetici di rara gradevolezza. Da rilevare pure che - sempre per i tipi dell’editrice Santi Quaranta - nel 2002 è stato ristampato il romanzo Giangiacomo e Giambattista con il nuovo titolo «L’isola innocente», un lavoro che pur nella sua profondità di pensiero si muove tra segmenti d’inevitabile meridionalità e tra esplosioni di colore, caratterizzato inoltre da un’elegante ed agile scrittura.

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