Una storia criminale fra Sicilia e America nel 1899

di Giuseppe Bagnasco

 

Per la penna dello scrittore Enrico Deaglio, nel suo “Storia vera e terribile tra Sicilia e America”, veniamo a conoscenza di una storia maledetta e dimenticata, un fatto di gravissimo razzismo ingiustificato. Veniamo subito ai fatti di cronaca. Il 20 luglio del 1899 a Tallulah, una cittadina a trecento Km a nord di New Orleans, nello Stato della Lousiana, vennero linciati cinque emigrati di Cefalù. Dai fatti, così come vennero accertati, risulta che il dott. J. Ford Hodges, medico del luogo nonché coroner (ufficiale giudiziario), infastidito dalla ripetuta presenza nel suo patio di una capra appartenente alla famiglia Defatta, emigrata da Cefalù, vicina di casa, abbia sparato all’animale uccidendolo e suscitato pertanto la reazione dei proprietari. Nella colluttazione avvenuta con uno dei Defatta (Franck) il medico si difese col calcio di una pistola, che portava sotto il cappotto, colpendolo alla testa ripetutamente. A questo punto intervenne il fratello Joe che con un fucile da caccia sparò allo Hodges ferendolo gravemente. La folla prontamente accorsa, senza accertarne le cause, catturò i due fratelli e li impiccò nel locale del mattatoio prelevando dalla loro casa anche il terzo fratello Defatta (Charles), il loro cugino John Cirami nonché il giovane nipote Rosario Fiduccia rinchiudendoli  nella vicina prigione. Da lì furono poi prelevati a forza e  impiccati  ad un albero nello spiazzo antistante.  Altri due, il cognato Giuseppe Defina col figlio di 15 anni Matteo, riuscirono a fuggire. Il dottore benché ferito si salvò. Questi i fatti così come li riportò la stampa di tutto i mondo, compreso il “Giornale di Sicilia”. Ma c’è un substrato di eventi nazionali e internazionali che sono alla base del linciaggio e che val la pena di esaminare. In primis le due coeve guerre civili, quella di Secessione americana tra unionisti del nord e confederati del sud, a cui seguì la liberazione degli schiavi delle piantagioni e quella italiana tra unionisti del nord savoiardo e i borbonici del sud che furono sottomessi con la forza con decretazioni di stati d’assedio e repressioni violente. Tutti e due guerre fratricide consumate nel sacro nome dell’Unità della Nazione. Con una distinzione e cioè che mentre i negri del sud americano furono liberati dallo stato di schiavitù e da uomini liberi abbandonarono le piantagioni per le città del nord o verso il mitico West, quelli del sud italiano finirono sotto il giogo delle leggi albertine, (su tutto la leva obbligatoria) e, vessati da tante tasse (compresa quella per pagare la lotta al “brigantaggio”) e trattati da coloni da sfruttare, per sfuggire alla miseria, finirono per espatriare. Fu la grande migrazione. E non poteva essere diversamente dopo la rivolta di Palermo del ’66 e la repressione dei Fasci Siciliani del ’93 eseguite con due corpi di spedizione militare (così si regolavano i conti con le province napoletane), e cioè uno sotto il comando del generale Raffaele Cadorna (padre del responsabile di Caporetto) e dell’ammiraglio Persano, lo sconfitto di Lissa appena due mesi prima (ma si rifece bombardando la città!), l’altro sotto il generale Morra di Lavriano che ricorse, un metodo abitudinale in quel tempo, ad esecuzioni indiscriminate. In secundis le conseguenze della Guerra di Secessione. La sua fine, con la vittoria delle armate del nord guidate da Ulysses Grant (futuro presidente degli Stati Uniti) e dal macellaio William Sherman (incendiò senza alcun motivo di strategia militare la capitale della Georgia, Atlanta) e passato alla storia come lo sterminatore dei Nativi americani secondo il quale “ il solo indiano buono è l’indiano morto”, la sua fine, dicevamo,portò allo spopolamento delle piantagioni della Lousiana e del Mississippi con grave danno per i proprietari. Fu in questo contesto che accadde un fatto strano. Il Governo degli Stati Uniti (anche qui come in Italia ci fu l’alleanza degli industriali del nord con gli agrari del sud), per sostituire gli schiavi, fece pressanti inviti a quello italiano perché favorisse l’emigrazione di quanti volessero trasferirsi nella Lousiana. L’invito ebbe favorevole accoglienza presso i governi umbertini specie nei riguardi dei contadini siciliani che erano visti come perenni ribelli, naturali eredi dei “briganti”, soprattutto  dopo la rivolta dei Fasci siciliani con l’occupazione delle terre, rivolta dovuta all’equivoca interpretazione dei risultati del Congresso socialista di Livorno del ’92. Il “caso” fu risolto con  sanguinose repressioni eseguite tramite esecuzioni sommarie e arresti in massa da parte del sunnominato generale conte di Lavriano,  inviato in Sicilia dal Capo del governo, il siciliano di Ribera Francesco Crispi. L’ emigrazione  fu vista quindi come valvola di sfogo per una popolazione dell’Isola a trazione contadina, cresciuta di circa seicentomila abitanti dagli anni dell’Unità d’Italia. La suddetta proposta prevedeva allettanti contratti comprendenti la gratuità dei viaggi d’andata e ritorno, la paga di venti dollari al mese, la garanzia di godere di tutti i diritti dei cittadini americani nonchè la possibilità di coltivare un proprio orto e di poter portare le proprie famiglie a condizione che lavorassero pure  loro. Il tutto però con l’obbligo di non poter abbandonare la piantagione per i sei mesi destinati al taglio della canna da zucchero. Questo, i  rappresentanti della “Planters Association” della Lousiana proposero agli ambasciatori italiani insieme alla possibilità che agenti della Compagnia facessero di ciò propaganda soprattutto nei paesi poveri dell’entroterra siciliano. Proprio in quei paesi che tanti “fastidi” avevano dato al governo ex sardo per cui l’Autorità costituita era dovuta ricorrere a spiacevoli interventi quale togliere l’acqua a interi paesi o incarcerare le famiglie dei renitenti comprese donne e bambini!. Può accadere quando non si obbedisce ad una potenza coloniale. Si passa per sovversivi, gentaglia da piegare in quanto semi selvaggia e incivile con la conseguenza di doversene disfare con l’espatrio. Fu così che circa centomila siciliani, stivati nelle navi insieme ai limoni,  lasciarono il loro paese per cercare un’alternativa alla miseria della vita di “jurnatari”, e soprattutto con il miraggio di comprare coi proventi della paga un pezzo di terra in America. E come non capire il sogno di un contadino ad averne uno proprio?. Ma già nelle stive girava voce di come fossero destinati a sostituire “i nivuri”. Sapevano, ma furono ingannati da un falso contratto e su ciò che li aspettava. Una grande truffa e perché dalla paga venivano tolti i giorni di pioggia, e perché venivano pagati con buoni validi per acquistare vitto in determinati negozi, infine perché obbligati a lavorare tutto il giorno e soprattutto senza alcuna possibilità di fuggire dalle piantagioni poiché lo Stato della Lousiana aveva approvato ad hoc la legge contro il vagabondaggio e quindi col rischio di essere arrestati. Non c’era pertanto né la tanto agognata speranza di inviare danaro a casa, né mai e poi mai di comprare un pezzo di terra. Un amaro e doloroso imbroglio. Infine in terzis un’ultima considerazione. Al già ricordato ineffabile generale Cadorna, massacratore di tanti civili nella rivolta palermitana del “Sette e mezzo” (anche il figlio Luigi sarà ricordato come “il macellaio” per le decimazioni dei poveri fanti nella Grande Guerra), facevano da risonanza alcuni giornali del nord dove si leggeva che a Palermo in quei giorni c’erano state donne che avevano mangiato la carne di un militare ucciso e che di altri si vendeva sui banchi dei mercati. Ne conseguiva agli occhi dell’opinione pubblica europea  che i siciliani erano una razza violenta, brutale e individualistica, dedita finanche al cannibalismo e, poichè  derivante dallo spirito feudale arabo, mezzi saraceni. In parole povere una “sottorazza”. A rafforzare questa idea, si affermava in quegli anni in Italia una pseudo scienza che iniziò a studiare le ragioni di questa diversità e per farlo gli studiosi cominciarono a misurare i crani, la distanza degli occhi, il colore della pelle, lo spessore delle sopracciglia dei meridionali.  Nacque l’Antropologia criminale con un scienziato d’eccezione: Marco Ezechia Lombroso, ebreo veronese. Classificò come razza di transizione quella calabrese e quella siciliana, certamente superiori a quella negra ma appartenenti ad una civiltà inferiore a quella bianca per cui finì per  marchiare quella siciliana come “razza maledetta”. Grande eco ebbe in America questa “scoperta” dove il Lombroso si recò per una serie di conferenze. Un’eco che giunse anche in Lousiana dove i proprietari delle piantagioni erano alla ricerca di mano d’opera a basso costo da utilizzare al posto degli schiavi negri affrancati da Lincoln. E i siciliani, le cui caratteristiche somatiche, dalla pelle dei contadini abbrunita per l’esposizione al sole ai capelli neri e ricci, ben si prestavano a questo accostamento. Fu così che i siciliani vennero assimilati ai negri e trattati come tali, compresa la possibilità di essere vittime di linciaggio. Era questa un’esecuzione sommaria e barbara riservata ai negri accusati di avere “guardato” una donna bianca, un “metodo” tacitamene ammesso dai maggiorenti del luogo specie tra i proprietari delle planters. Un macabro rito ripreso dopo che le truppe d’occupazione nordiste ebbero lasciato gli Stati del Sud,  Lousiana compresa. Lì i siciliani erano chiamati “dagos”, una espressione che identificava una razza a metà tra la bianca  e la nera e la adoperarono  per loro sia per l’ aspetto  sia perché  quali  nuovi lavoratori per le piantagioni, non potevano che essere i nuovi schiavi. Fu in questo contesto, il contesto in una società pervasa da odio razziale, che i poveri cinque cefaludesi, furono linciati. E questo nonostante i Defatta non fossero degli “schiavi” ma semplici commercianti di frutta. E non fu un caso isolato. Nove anni prima a New Orleans, a causa dell’omicidio del capo della polizia Henessy, furono incolpati undici siciliani e, sebbene al processo risultassero innocenti, gli undici disgraziati furono prelevati dal carcere e impiccati. Ne conseguirono proteste del governo italiano e il Congresso degli Stati Uniti ricompensò ciascuna famiglia con 2500 dollari. Con questa soluzione la cosa fu messa a tacere, come lo fu per due dei linciati cefaludesi risarciti dallo Stato della Lousiana visto che gli altri tre, avendo chiesto la cittadinanza americana, non furono considerati più sudditi del re Umberto. Della famiglia Defatta, come prima accennato, riuscirono a salvarsi e riparare nel vicino Stato del Mississippi, il cognato Giuseppe Defina e il figlio quindicenne Matteo. Dei due, solo Joe Defina, che ad onor suo e di tutta Cefalù, aveva avuta una medaglia d’argento al valore militare per il suo comportamento nella battaglia navale di Lissa, riuscirà dieci anni dopo i fatti, a far ritorno alla cittadina normanna. Questi i fatti e questo il merito dello scrittore Enrico Deaglio per averli ricordati. A noi il compito di averli commentati come ad avvalorare la tesi che la guerra di Secessione americana non fu una guerra per liberare i negri (oggi neri) dalla schiavitù (e lo dimostra il fatto che “l’atto di liberazione” Lincoln lo fece nel momento di maggior difficoltà per le armi unioniste), ma solo per interessi commerciali e anche militari come da sempre la sperimentazione di nuove armi come quelle che si ritroveranno  utili per la guerra del ’98 con la Spagna. Le industrie degli Stati del nord, al pari di quelle del nord nell’Italia postunitaria, avevano un estremo bisogno dei mercati del sud. In particolare, nello specifico, le nordamericane avevano bisogno sia del cotone per l’industria  manifatturiera in concorrenza con quella inglese che del caffè per il lucroso commercio estero senza considerare la libera manodopera nera, al posto di quella cinese, sia per le sterminate pianure del Middle west per le colture cereagricole  e  la costruzione della ferrovia transcontinentale dall’Atlantico al Pacifico, che per le miniere. Ma il popolo nero, anch’esso beffato come i siciliani da Garibaldi o quelli tradotti in Lousiana, non godette degli stessi diritti civili dei bianchi e ciò fino al 1964, con le lotte del pastore protestante Martin Luther King, cioè quasi un secolo dopo la fine della guerra civile. In Italia, come storia comparata, il razzismo inaugurato da una certa classe politico-imprenditoriale piemontese, a giustificazione dell’aggressione perpetrata ai danni dei cittadini di uno Stato sovrano e della conseguente loro “liberazione” dalle catene borboniche, non è mai definitivamente tramontato. E ciò, detto senza falsa ipocrisia, perché la sottomissione a colpi di stati d’assedio e  azioni di rastrellamento per il diffuso “brigantaggio”assunse a tale livello, da far dire a Massimo D’Azeglio (genero di Alessandro Manzoni), a dispetto dei plebisciti espressi,: “ se il popolo meridionale ha voluto unirsi al Piemonte, che ci stanno a fare al sud sessanta battaglioni?”. La  dimostrazione che il Sud fu considerata una colonia del Nord sta negli interventi assistenzialistici dei tanti governi senza mai pensare di restituire quelle industrie che, a seguito della conquista sarda furono trasferite al nord come bottino di guerra. Finanche portarono a Biella e poi a Valdagno  (come denunziato anche dallo scrittore Andrea Camilleri) ottomila telai siciliani per l’industria tessile, per non parlare degli impianti siderurgici, della cantieristica e della meccanica come dimostrato dal varo della prima nave a vapore e dalla costruzione della prima ferrovia. Eppure la propaganda del nord presentava il Regno delle Due Sicilie come arretrato,  barbaro e incivile il cui retaggio ancora nei recenti anni ’50 (anche qua un secolo dopo l’unificazione) trovava testimonianza negli avvisi affissi nei portoni dei condomini delle città del nord dove si precludeva l’affitto ai meridionali. Purtroppo ancora oggi in un rigurgito (per fortuna occasionale) di razzismo, alcuni insistono a chiamare i meridionali  “Africa” anche se ormai un po’ anacronistico, visto che gli africani veri sono ormai di casa. Il razzismo, secondo noi, anche se è retorico affermarlo, si combatte con la cultura e lo studio della vera storia (unico mezzo per una definitiva pacificazione tra Nord e Sud) a cominciare dalle scuole primarie per ripristinare alcune incontrovertibili verità ormai non più eludibili, perché è nell’ignoranza che alligna il disprezzo precostituito per la diversità sia essa  appartenente al campo geografico che etnico. 

 

 

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