La battaglia di Aleppo - di Vinny Scorsone

Scappaaa!

Corri e scappa!

Arrivano!

Li sento arrivare. Il loro rombo fa tremare i miei nervi, la terra che calpesto e le mura. 

Scappa!

Il rifugio non ha retto, corri!

Hanno sganciato, hanno sganciato. Sta crollando tutto. Sono a terra. Lo spostamento d’aria mi ha sollevato e poi mi ha buttato a terra.

Piovono polveri e pietre. Non respiro. Sono dentro al rumore. Ho tutto addosso, tutto addosso. Il cemento mi arriva da ogni lato. Le bombe cadono. Stanno distruggendo tutto e colpiscono la terra e la terra si solleva e mi avvolge. Il rumore, il rumore, il rumore!

Dove sei? Dove sei? Hai lasciato la mia mano e ti ho persa.

Afrah! Afrah!

Non ti vedo. Il cuore mi scoppia.

Scavo con le mani, tolgo blocchi e pietre e ferro. Ho le mani ferite ma non ci faccio caso.

Afrah!

Siamo tra fuochi nemici e amici e noi in mezzo. È un massacro. Respiro polvere e sangue.

Afrah, lotto anche io lotto in questa guerra. Voglio andare via e voglio andare via con te. Via da questa terra che non conosce pace. Non ti farò più stare nascosta sottoterra, ma il sole illuminerà i tuoi occhi. Non ti farò più patire fame e sete. Giocherai Afrah, giocherai anche tu come tutti i bambini.

Afrah! Vedo i tuoi riccioli tra il grigio della rovina. Afrah! Sangue, sono sporchi di sangue, Afrahpezzo di me. Svegliati Afrah, svegliati. Dov’è la tua voce? Sono tuo padre Afrah! Riappare il tuo volto: latte rigato di sangue. Apri gli occhi. Afrah! Afrah!

Scavo ancora e continuo a chiamarti, ma tu non rispondi e attorno a noi il rumore dei mortai e lo scoppio delle bombe.

Ora il rumore è cessato. Il paesaggio è cambiato. L’ultimo pezzo di me è andato perso e l’aria èpregna delle urla dei sopravvissuti. 

Urla Afrah, urla anche tu di dolore come urlano gli altri, urla come quando sei venuta al mondo e ritorna da me ancora per un’ultima volta.

 

Come si racconta una guerra? Come si descrive un dolore?

La battaglia di Aleppo (iniziata il 19 luglio 2012 e terminata il 22 dicembre 2016), una delle più lunghe e sanguinose battaglie della guerra in Siria, ha mietuto più di 31.000 vittime; e se per Aleppo, oggi, sembra tornata la pace, ben più lunga, però, continua ad essere la guerra su tutto il territorio siriano dove si fronteggiano schieramenti “amici” e “nemici”.

Le bombe, i carri armati e i colpi di mortaio, hanno distrutto la città e polverizzato la vita della gente.

Sensibile e fedele cronista del suo tempo, Liana Taurini Barbato ci parla del nostro mondo, ci “illustra”, ci racconta la guerra in Siria attraverso il filtro dei suoi occhi e lo fa non cogliendo il momento dirompente dell’attacco, bensì soffermandosi sulla desolazione e la disperazione conseguenti alla devastazione. “Fantasmi” quasi inconsistenti, senza volto e senza nomi, vagano tra le macerie della città raccogliendone i feriti e i morti. Il fuoco arde tra le pietre, tra quelle che un tempo erano delle case. Il paesaggio è mutato, reso ormai irriconoscibile, e anche l’aria è cambiata. Una polvere fatta di cemento, di terra, di fumo e di sangue, entra nei polmoni e si deposita ovunque.

La guerra è quasi finita, l’esodo è iniziato. Ora la gente può scappare da quell’inferno, tranquilla di non essere preda dei cecchini. E se da un lato della città ora tutto tace, nel lato opposto ancora fischiano i proiettili.

È una guerra del dolore, quella messa in scena dalla Barbato, fatta di sconfitte dell’animo, di rovine soprattutto interiori, di sogni svaniti: migranti in fuga dall’inferno. Niente cibo, niente acqua, niente medicine, lo sciame umano si riversa sulle strade e dà l’addio al proprio mondo.

Una guerra più subita che voluta. Nei dipinti esposti pochi sono i soldati, poche le armi, sono infatti soprattutto i civili, le vittime innocenti della stoltezza altrui ad interessare maggiormente l’artista.

Il blu (colore dominante dell’intera mostra) si mischia alla coltre di fumo nero che riempie il cielo.

Ogni tonalità è una variante dell’animo umano acceso, ogni tanto, da guizzi cromatici.

Il silenzio domina la scena; il silenzio di una umanità impotente incapace di giustificare il mondo intero, inerte ed inerme, per la sua apatia emozionale. 

Dopo la precedente mostra dedicata alle rotte dell’emigrazione, oggi Liana Taurini Barbato ci parla della guerra che si svolge “vicino” casa nostra e lo fa deformando ancora una volta la realtà per raccontarla ancora meglio, con occhi lucidi e poco sognanti. Del resto come si potrebbe mai rappresentare in maniera sognante un massacro? Un massacro dal quale nessuno è sfuggito. I bambini sono stati i primi a cadere, uccisi improvvisamente da bombe e cecchini o lentamente dalla fame e dalla sete. Vite dissolte, famiglie annientate. Scene di massa o ritratti solitari di una popolazione decimata.

I quadri in mostra sono il frutto di un moto interiore, una ribellione ad una situazione assurda e drammatica che ha causato e continua a causare tante vittime innocenti. Liana usa un modo di narrare per immagini semplice come quello che usavano, nei loro “tabelloni” i cantastorie. Rifiuta la forma perfetta, gli artifici prospettici; non le interessa dar sfoggio delle sue capacità tecniche (che ben padroneggia), lei vuole solamente trasmettere emozioni e far riflettere ricorrendo ad uno stile molto vicino a quello popolare. Lei vuole parlare alla gente di quell’altra gente che da anni non è più libera, impossibilitata persino a scappare, accerchiata da più fronti.

Però, tra tanta desolazione e sofferenza, un barlume di speranza affiora tra i quadri, una voglia di rinascita capace di rinvigorire lo spirito. La contemplazione delle macerie in fin dei conti è una spinta per fare la conta dei propri morti, fermarsi a riflettere e infine ricominciare a vivere.

La nostra è una società essenzialmente egoista ed edonistica incapace di guardare oltre il proprio tornaconto. Bisogna quindi aprire gli occhi sul mondo e capire cosa accade al di fuori di noi stessi. Liana Taurini Barbato prende nota degli eventi e i suoi sono appunti di storia contemporanea  “redatti” a testimonianza dell’ottusità umana.

 

Isola delle femmine, 21 aprile 2018 ​​​​​Vinny Scorsone

 

 

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