Gandolfo Iraggi: L'uomo, il poeta, il maestro, lo studioso

di Salvatore Riccobono Jr.

 

  1. Aperto alla bellezza del creato, come ispirava la sua nascita quassù in questa cittadina madonita di Polizzi Generosa, splendida terrazza affacciata su una luminosa valle circonfusa di verde, G. Iraggi ebbe anima di poeta, fu uomo di alto sentire, coltivò per tutta la vita lo studio delle lettere classiche, della filosofia, della storia, intese come elevazione dello spirito, come sublimazione di un mondo superiore, ideale, che sentiva connaturato in sé, nel profondo della sua intima coscienza, sin dalla nascita.
  2. Giovane professore, insegna Letteratura italiana al Liceo Classico Vittorio Emanuele di Palermo, lo conobbi personalmente quando io ero studentello al ginnasio superiore e mio fratello Francesco fu suo discepolo nel corso dei tre anni di liceo (1923-1926).

Io lo ricordo sempre,-e la sua figura mi è rimasta impressa, come se fosse ancora oggi una persona fisicamente viva - percorrere gli ampi corridoi e le aule del Liceo V.E. e discutere con i colleghi e gli allievi con animo aperto e cordiale. Tra i tanti colleghi vi erano Pietro Mignosi e Pietro Vetro, mio professore di Letteratura Italiana.

Il ricordo dell'atmosfera vissuta in quegli anni di scuola, di studi severi (non bisogna dimenticare che nel 1923 era stata introdotta la Riforma Gentile, una riforma radicale che rivoluzionava nella scuola italiana i programmi precedenti e imponeva ai giovani l'obb1igo di rispondere sui programmi di tutti e tre anni di liceo per il conseguimento della maturità classica, una prova durissima che nel pensiero rinnova la paura), il ricordo -dicevo- di quel tempo lontano non si è mai cancellato dalla memoria, perché furono anni di preparazione, di autentica formazione, di passione, di sacrificio, di emulazione tra noi giovani, legati con vero affetto e devozione ai nostri maestri ai quali siamo rimasti uniti da un vincolo di perenne gratitudine. Quale abissale differenza con la scuola del tempo attuale la quale, nonostante gli attentati compiuti nei decenni passati per distruggerla, resiste per l'abnegazione e il senso di responsabilità di valorosi docenti e un ristretto numero di studenti consapevoli.

G. Iraggi appartiene alla tradizione nobilissima di quella scuola e posso in piena coscienza testimoniare -oggi in questa cittadina che fu sua patria- che gli ha lasciato un segno inobliabile del suo insegnamento, del suo esempio, della sua eredità spirituale e intellettuale, offerti a noi nel fugace camino dell'umana esistenza. E voi dovete essere orgogliosi di averlo avuto illustre concittadino insieme ad altri nomi incisi nella storia di questa Polizzi, nomata Generosa da Federico II; (il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, il letterato Giuseppe Antonio Borgese).

  1.  Io non mi fermerò qui a parlare dell'opera letteraria, critica, scientifica di G.  Iraggi affidata al professore Tommaso Romano.

Desidero piuttosto, in rapida sintesi rivivere con voi la preziosa esperienza vissuta da G. Iraggi a riguardo della sua comunione di spirito, della fraterna amicizia avuta con uomini di alto intelletto, di severa integrità morale, di innata fede religiosa: come mons. Onofrio Trippodo, mons. Mariano Campo, dr. Amato Pojero, prof. Nicola Accolti Gil Vitale e altri ancora (come mons. Mariano Caldarella, mons. Giuseppe Di Martino e p. Anselmo).

Insondabile mistero di alcuni incontri della vita, dai quali fiorisce una sintonia di sentimenti ideali, che il tempo edace non riesce a fare appassire, ma che rafforza ognora con vincoli sempre più stretti. Dalla mia memoria riaffiorano alcuni episodi, che mi preme riferire perché rivelano la sua sensibilità e contribuiscono a farci meglio conoscere 1'intima personalità dell'amico Iraggi.

Questi tenne il 22 febbraio 1934 presso la Biblioteca Filosofica di Palermo, la commemorazione di Mons. O. Trippodo, nato a Mezzojuso il 10 agosto 1876, nel secondo anniversario della scomparsa. E’ una commemorazione sentita, fatta col cuore, che inizia così: "Parlare di Onofrio Trippodo anche alla distanza di due anni dalla morte non è possibile senza imporsi più di una disciplina. Ché come non è facile costringere nel linguaggio della presa 1'onda commossa dei ricordi che urgono nel cuore assai più che nella mente, così non è rispettoso dire di lui senza avere prima invocata la verità a cui tutta la sua vita fu devota”.

Sin dalle prime parole G. Iraggi coglie l'essenza della peculiare virtù del maestro O. Trippodo, la cui umiltà spirituale costituì l’insegnamento veramente sublime di tutta la vita; "Sì - continua subito 1'Iraggi -  quest'uomo il quale non pubblicò mai un libro, una pagina, un rigo e che non lasciò scritti che per testamentaria volontà attendessero postuma luce, portava quasi impressi sul volto i segni di una grandezza singolare. Filosofo di razza, della grande razza dei filosofi mediterranei, la cui fioritura nel1'antico suolo dopo secoli di sonno ci fa inorgoglire della maturità in cui siam cresciuti, aveva una cultura illimitata in ogni campo delle umane lettere e della storia".

L’orazione di G. Iraggi continua con bellissime pagine, che ricordano l'amicizia e la stima di Giovanni Gentile verso i1 Trippodo e gli stretti rapporti tenuti da entrambi verso il dr. Amato Pojero, fondatore e animatore per molti decenni della Biblioteca Filosofica di Palermo, fucina di una nuova generazione di studiosi e di intellettuali. Fu quella dei primi decenni di questo secolo una stagione felice per la gioventù che si preparava alla vita; fu la grande dottrina unita alla bontà d'animo del Trippodo che spinse Giovanni Gentile a che il Trippodo, riluttante, accettasse l'incarico d'insegnamento di Storia del Cristianesimo presso la Facoltà di Lettere e Filosofia del1'Università di Palermo dietro i pressanti inviti del Rettore Francesco Ercole.

Io ho avuto la ventura di conoscere personalmente mons. Trippodo a metà degli anni Venti quando ero studente ginnasiale e scendevo a piedi lungo il corso Calatafimi assieme allo zio S. Riccobono per andare, io al Vittorio Emanuele e lo zio alla lezione di Istituzioni di Diritto Romano, presso la Facoltà giuridica dell'Università di Palermo. Incontravamo spesso i1 Trippodo che abitava al1'Albergo delle Povere, mentre usciva per recarsi al seminario arcivescovile; e così percorrevamo insieme i1 tratto di strada fine alla Cattedrale ed egli, sorridendo, era lieto di rivolgermi delle domande sui miei studi, sui miei interessi, sui miei docenti. Lo zio mi diceva: "Sai, mons. Trippodo è un uomo grande, un pozzo di scienza". Ed io mi facevo piccolo piccolo nell’ascoltare quelle parole. Il Trippodo ebbe rapporti con i migliori filosofi italiani ed europei, come ad es. i1 Blondel. Colgo l'occasione di trovarmi qui, a Polizzi, per pregarvi di leggere e meditare la pagine commemorative del nostro Momò Iraggi, che ci si presentano assai edificanti e ancor vive dopo circa sessant'anni, specie nel tempo presente così arido, vuoto, privo di interessi per una vera cultura interiore, nel1'epoca della secolarizzazione e del tramonto dei valori della cristianità.

  1. Ma qui non possiamo tacere di un'altra commemorazione sul Trippodo tenuta il 10 marzo 1972 all'Auditorium SS. Salvatore da mons. Mariano Campo per il 40° anniversario della scomparsa, la quale idealmente si riallaccia a quella tenuta nel I934 dal1'Iraggi. La realtà é che Gandolfo Iraggi e Mariano Campo rimasero sempre legati da un comune ideale di fede nei valori etici e religiosi, da un comune sentimento di accrescere ogni giorno il proprio patrimonio culturale, spinti dall'anelito di "pensare all’ingrande", la scienza, la filosofia, la poesia, la musica, la bellezza, il mistero della vita e dell'universo.

Le due commemorazioni dell'Iraggi e di Campo si integrano, si completano a vicenda; ed io rinnovo 1'invito di metterle insieme, di leggerle e meditarle contemporaneamente. Qui mi limito a citare un breve passo dove mons. Campo riferisce una notizia che riguarda G. Iraggi e mi sembra giusto metterla in rilievo: "Il motivo della povertà, della rinuncia e del rifiuto di fronte agli agi procurati da una carriera assicurata, era congiunto in lui (Trippodo) con l'altro motivo del disprezzo per ogni forma di ambizione con la ricchezza dei suoi doni nativi e la vastità della sua cultura intellettuale avrebbe potuto incorrere facilmente nella tentazione della vanità; gli sarebbe stato facile trovare i mezzi per realizzare i sogni di una ambizione personale”.

Sarebbe bastato, per es. dare forma sistematica alle prospettive pedagogiche tracciate un giorno su un foglio occasionale dato alla signorina prof.ssa Enza Maria; o sviluppare e completare gli appunti di Estetica da lui dettati durante alcuni giorni al prof. G. Iraggi; o eseguire per conto suo le ricerche suggerite ai tanti laureandi che ricorrevano a lui per impostare e sviluppare le loro tesi; o calare distesamente per iscritto, esplicandone le implicazioni, i suoi talvolta lunghi interventi alle sedute della Biblioteca Filosofica a critica e integrazione delle altrui relazioni, o le sue proprie relazioni, per es. su Spinoza e Malebranche, o sul miracolo, talvolta perseguentisi per parecchie sedute. Il non averlo fatto non fu pigrizia o incuranza; era il segno del suo temperamento eroico, alieno dal1'ambizione era il suo proposito di attenersi all’esempio di Socrate, innamorato della povertà 1'ancoramento della sua missione di apostolato intellettuale nell'unum necessarium della carità di Dio". (Ricordo che M. Campo scrisse nel 1935 un articolo su O. Trippodo dal titolo: Socrate per le vie di Palermo).

  1. A questo punto è necessario parlare della Biblioteca Filosofica di Palermo, ove 1'Iraggi tenne la commemorazione di O. Trippodo il 22 febbraio 1934, Biblioteca Filosofica ricordata da mons. Campo, nel passo poc’anzi riferito. Dal darne una breve notizia storica non possiamo prescindere, perché G. Iraggi fu un assiduo e fedele frequentatore della Biblioteca Filosofica e devoto amico del fondatore, i1 dottor Giuseppe Amato Pojero. Nel convegno tenuto il 3 e 4 gennaio 1980 nel1'Aula Magna dell'Accademia, di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, il presidente Bruno Lavagnini definì il dr. Amato "la calamita", il grande "motore immobile", attorno a cui si mossero nei primi decenni del secolo, insigni dotti e scienziati. L’atto ufficiale di costituzione della Biblioteca Filosofica risale al 26 luglio 1910, e subito vi figurarono nomi prestigiosi come Giovanni Gentile, che la diresse nei primi anni, Francesco Orestano, Michele Fatta, Eugenio Di Carlo. Ma di fatto la Biblioteca era nata già da oltre un ventennio, sin dal 1888, per moto spontaneo, nella stessa casa del dr. Amato.

In quel primo periodo di vita del cenacolo vi confluirono nomi di studiosi insigni delle più varie discipline, come Abbadessa, Fazio Allmayer, Ravà, Giardina, Mosca, Vailati, Cosmo Guastella, Brentano, Sully, Luteslawsky, Viola, Antonio Renda, Santino Caramella, Carabellese. Nel campo degli studi giuridici figuravano i nomi di V.E.Orlando, G.B. Impallomeni, S. Riccobono (senior), S. Di Marzo, G. Ambrosini, T. Masi, G. Maggiore, V. Miceli, E. Paresce ed altri.

Tra tutti questi nomi non poteva mancare G. Iraggi, come testimoniano molti biglietti a lui inviati dal dr. Amato, che gentilmente mi sono stati dati in visione dalla sorella Enza Iraggi, la quale fu sempre la custode tutelare del fratello e alla quale siamo lieti di offrire oggi l'espressione della nostra affettuosa gratitudine.

Tra questi biglietti ve n'é uno che porta la data del 2 novembre 1927, ove 1'Amato chiede una seconda copia del1'ode "I1 Pilota", definita "magnifica". E a proposito di poesia, un ricordo particolare merita la raccolta di poesie dal titolo “O miei passati amori", ove fra le altre si trova quella dedicata a "Mia sorella Enza." (Roma, ottobre 1939) pp. 51-52, giudicata da Antonino Anile "tra le più belle" e rivela 1'alta spiritualità e la profonda umanità del Poeta:

 

A MIA SORELLA ENZA: Quando mi scrive/ con tal levità la tua mano/ quasi che mani ed ali,/ ancora odorose di altezza,/ mostrin d’avere sfiorato/ le zone pù azzurre del cielo,/ mi sento stringere il cuore,/ come preso da oscuro sgomento./ Tu sai che ancora terreno,/ oh, troppo terreno, son io,/ vale a dir radicato/ nel credermi eterno/ in questa massa che gira/ fra tenebra e luce/ monotona come una ruota:/ e in tale sciocca illusione/ ho il timor che mi viene/ dalla tua sete d’ascendere/ e dal divino riflesso/ che tu, nelle brevi sortite,/ riporti dall’alto;/ come se a un certo punto/ più quella debba piacerti/ che questa dimora/ di noi poveretti/ appesantiti dal fango./ Almeno, tu sola non fossi/ in tale gioia del salire/ e dietro lasciarsi la terra/ fino a bramar di fuggirla/ per non vederla più, mai!/ E come rimpianto non prova/ chi lascia la casa del borgo/ per le bellezze del1’Urbe,/ cosi non invidia alcuna/ noi proveremmo per quelli/ lasciati giù nel mondo/ lungo le trite vie,/ misero formicaio/ che suda e lotta ed uccide/ per un mucchietto d’oro/ od una spanna di terra. (Ottobre 1939)

 

Questa poesia mi sollecita a fare questa considerazione: dal canto dei poeti la lezione più nobile resta quella perenne nel tempo di come si concepisca e si affronti la vita, quando essa diviene dolore e purificazione e "sete d'ascendere" e "gioia del salire".

Alla fine della raccolta delle liriche di Iraggi sono pubblicati alcuni giudizi espressi da uomini insigni come F. Biondolillo (Univ. Roma), G. Gentile, F. Orestano, Giulio Bertoni, Ugo Redanò (Università di Roma), Renato Rizzo, mons. Giuseppe Petralia, mons. Campo del quale mi piace riportare l'intimo pensiero: "Io non conoscevo te come poeta... Sono quindi dinanzi ad una rivelazione... Prima di tutto della tua vera anima…, nella luce e nella rivelazione della poesia rivela il suo orto segreto e la sua intima bontà. Ora ti voglio immensamente bene, e godo di saperti così armonioso, puro, ricco, e nella nostalgia di Dio.

Anche la tua arte mi appare schietta e freschissima... Ci sono delle cose limpide come diamante e tenere come la migliore musica di Beethoven".

Quando a metà del1'anno 1971 mons. Campo lasciò Trieste, ove aveva insegnato Storia della Filosofia e si ritirò nella diocesi di Cefalù con la sua ricchissima biblioteca, non mancò mai di andare a far visita all’amico Iraggi e alla sorella Enza in via Libertà. Io ebbi occasione varie volte di accompagnarlo partecipando alle belle conversazioni che si svolgevano durante quei pomeriggi culturali. Nell'estate del 1975, mons. Campo ed io andammo a far visita a Momò e ad Enza qui a Polizzi Generosa (29 agosto 1975) partendo da Gibilmanna, ove Mons. Campo soleva trascorrere i mesi più caldi in compagnia dei cari amici mons. Mariano Caldarella e mons. Giuseppe Di Martino. E tra gli amici cari di Iraggi non possiamo trascurare il ricordo di Nicola Accolti Gil Vitale, professore di Lingua e Letteratura Tedesca, già collega di mons. Campo nel1'Università Cattolica di Milano.

In verità si trattava di amicizie collaudate dal legame di affinità elettive, sempre più solide e forti, che la scomparsa fisica non ha potato attenuare o strappare dal cuore e dalla mente dei sopravvissuti.

Proprio come I grandi amici di Raissa Maritain!

  1. Nella memoria resta vivo il ricordo di quella meravigliosa stagione, vissuta in sintonia fraterna con uomini immersi in un insondabile mistero di amore e di superiore humanitas, uomini che aspiravano e vagheggiavano un mondo ideale, il mondo della caritas divina come ci insegna S. Paolo nella Lettera ai Corinzi 13, 18 che non poteva identificarsi con le iniquità del piccolo mondo terreno, uomini che, nei primi decenni di questo secolo, tanto sofferto, rappresentarono 1'aristocrazia del pensiero, la giovinezza dello spirito: Deus qui laetificat iuventutem nostram.

Nella complessa società attuale che si affaccia al terzo millennio, la prima nella storia del mondo fondata sul pericolo atomico e sul pauroso vuoto delle coscienze; nella prospettiva di un nichilismo etico sempre più minaccioso e distruttivo; nell'avversione e nella lotta contro la nostra tradizione culturale, che si ricollega ai grandi valori del pensiero filosofico greco e del diritto creato da Roma e, in particolare, alle radici cristiane del1'Europa: ci si chiede quale possa e debba essere oggi il ruolo del1'intellettuale, del1'uomo di pensiero e di alto sentire, specialmente dopo la crisi e la sconfitta del gramsciano "intellettuale organico", dopo il tonfo e il fallimento di tutte le ideologie materialiste false e bugiarde. Negli ultimi Cinquanta anni molti sedicenti intellettuali hanno tradito la loro missione.

In questo crepuscolo, in questa povertà di veri valori, in questa "società del vuoto", torna a noi la figura di Gandolfo Iraggi, uomo, studioso, poeta, maestro, come esempio vivente di alta nobiltà e onestà, come vero Uomo che, nel difficile e travagliato percorso della vita, seppe armonizzare in un tutto organico il suo patrimonio intellettuale e spirituale, maestro di modestia, di fede e di verità, l’Uomo che seppe offrire ai giovani della scuola, alle nuove generazioni i doni dei veri valori che si tramandano nei secoli e che brillano, come le stelle del firmamento, di luce perenne.

 

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