"Favoleggiando Palermo, capitale della Sicilia Musulmana" di Pasquale Hamel

"Sugli anni che Palermo fu la capitale della Sicilia musulmana, si è molto scritto e, perfino, favoleggiato. Qualcuno è arrivato a descrivere quel tempo come l’età dell’oro della città.“Senza dubbio, scrive Denis Mack Smith a proposito di quell’età dell’oro, c’era una buona dose di esagerazione poetica”. A leggere le memorie, per la verità molto povere, dei cronisti, un notevole il cosiddetti splendore fu dovuto soprattutto perché il governo musulmano, dopo avere raso al suolo nell’878 Siracusa, aveva spostato il centro delle loro attività proprio a Palermo. Un centro dal quale, visto che la conquista dell’isola sarebbe stata molto più difficile di quel che si immaginava, “partivano, come scrive Rodo Santoro, le torme di cavalieri e di fanteria per la guerra santa contro le città dell’isola facenti parte dell’impero di Costantinopoli.” Erano milizie feroci che riservavano a chi osava resistere o ribellarsi “torture atroci e le teste mozze dei coraggiosi venivano portate a Palermo per essere esposte in cima alle picche piantate nelle piazze della città.” Proprio a Palermo vennero deportati i sopravvissuti alla strage di Siracusa. Fra questi prigionieri, arrivati esausti dopo un lunghissimo viaggio segnato da atrocità di ogni tipo, oltre all’arcivescovo Sofronio condotto in catene e imprigionato fino al riscatto, c’era anche un monaco, tale Teodosio, a cui dobbiamo le prime e dettagliate notizie su che cosa era divenuta Palermo dopo la conquista islamica. La prima notizia che ci riferisce è che la popolazione si esprimeva in arabo e che gli abitanti si mostravano giubilanti per la vittoria musulmana, segno che non si trattava più delle popolazioni che originariamente avevano abitato la città. Fatto che conferma quei dati di al-Athir per i quali, al momento della conquista, gli abitanti di Palermo si erano ridotti a qualche migliaio di persone. La città aveva assunto l’immagine tipica degli insediamenti abitativi orientali – come forse piacerebbe al sindaco Orlando - e che era rifiorita grazie al commercio favorito dal porto. Palermo, era stata reinventata, lo scrive Illuminato Peri, come “un emporio del commercio più redditizio, fra l’Oriente e l’Africa da una parte  e i paesi dell’Occidente cristiano dall’altra”. Il nostro cronista ci racconta inoltre che nella città vivevano migliaia di schiavi, provenienti da ogni regione, trattati in maniera disumana frutto soprattutto delle razzie. Lo stesso Teodosio ci fornisce qualche notizia anche sulla zona che costituiva il centro amministrativo, che coincideva con l’area dove era allocato l’antico castrum con le sue possenti mura perimetrali. La città si era, tuttavia, dilatata e “non bastando più al numero dei novelli abitanti – scrive il monaco -, si cominciò ad innalzare case al di fuori della mura”. Proprio agli Arabi si deve l’area della Kalsa (al Khalisa, l’Eletta), la cittadella fortificato dove dal decimo secolo si spostò la residenza dell’emiro e dei suoi collaboratori nel governo dell’isola. Un ultima informazione, fornitaci da Teodosio, riguarda l’esistenza di qualche gruppo di cristiani che, come era normale nei territori su cui si stendeva il governo dell’Islam, vivevano nella condizione di dhimmi cioè con diritti limitati e sottoposti ad uno regime giuridico e fiscale particolarmente pesante. Notevole e fantastica la trovò un altro viaggiatore, questa volta un arabo e si comprende dunque l’entusiasmo, tale ibn Hawqal che la visitò un secolo dopo, nel 973 e che ne lasciò la descrizione come di una delle città più importanti del mondo allora conosciuto facendola seconda solo a Costantinopoli. A quest’autore dobbiamo la notizie, sicuramente enfatiche sulle quali si è costruito il mito dell’età dell’oro, di una Palermo che avrebbe avuto 300.000 abitanti e che fosse famosa per le sue trecento moschee qualcuna meno della splendida Cordova sede del califfato Omayyadi al-Andalus. Notizie, queste ultime, che, alla luce dei ritrovamenti vanno fortemente riconsiderate. Bisogna precisare che, fra le presunte trecento moschee, molte erano edifici espropriati ai cristiani e trasformati, appunto, in luoghi di preghiera islamici. Fra questi c’era anche quella del venerdì, cioè la vecchia cattedrale eretta da Gregorio Magno espropriata e adibita a moschea. Non si hanno notizie di edifici di culto cristiani o ebraici dentro le mura cittadine nel periodo arabo, forse qualcuno persisteva fuori le mura cittadine. Ma quale fu il rapporto fra i padroni musulmani e le comunità, cristiani ed ebrei che vivevano a Palermo ? L’idea generalmente diffusa è che proprio Palermo vivesse una felice esperienza di convivenza multietnica e multiculturale che, cioè, diversamente da quanto allora accadeva nel resto del mondo e, soprattutto, nei domini dei cristiani, vigesse il principio della tolleranza. Proprio questa grande apertura del governo musulmano si sarebbe manifestata nella pacifica convivenza fra le religioni, le moschee musulmane sarebbero state accanto alle chiese cristiane e alle sinagoghe ebraiche. Si potrebbe liquidare il tutto affermando che si tratta anche in questo caso di poesia. Piuttosto, senza essere lontani dal vero, potremmo dire che il potere islamico manifestò anche dei momenti in cui si dimostrò più aperto ma nei limiti in cui lo consentiva la legge coranica. Lo stesso Michele Amari che, per ragioni politiche, ha tenuto a dare un’immagine molto positiva della presenza islamica anche per quanto riguarda questo aspetto specifico, non  può fare a meno di raccontare che, in certe fasi della storia della Sicilia degli emiri, i non  musulmani furono costretti a subire delle pesanti restrizioni e, perfino, a dovere accettare la ignominia dei segni distintivi sugli indumenti e anche sui luoghi che abitavano. Insomma, non ci sono prove concrete che venissero garantite condizioni di gran lunga differente rispetto a quelle che sperimentavano le altre culture rispetto a quella dominante."

 

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