"Siamo alla frutta" di Vinny Scorsone

Eh sì, siamo proprio alla frutta. Lo siamo nel modo di esprimerci, nei conti da far quadrare, nel nostro modo di comportarci e di relazionarci con gli altri. Siamo alla frutta nella sanità, nella ricerca, nella scuola e nella politica. Siamo ancora una volta alla frutta e il pasto che l’ha preceduta non è stato dei migliori. Ciò che oltremodo dispiace, inoltre, è costatare che neanche di frutta buona si tratti. Non parlo di frutta marcia, quella si guarderebbero bene dal propinarcela, bensì di quella bella, salvo poi scoprire che ha quel sapore atono di plastica che ti costringe a lasciarla nel piatto, inutile resto di un’illusione. Del resto poco importa, oggi un insufficiente ricordo del vero sapore del cibo ci è rimasto nella memoria  e i nostri figli impareranno presto a nutrirsi di surrogati tristi (mi piace ricordare in questa occasione il film di Richard Fleischer dal titolo “2022: i sopravvissuti”, del 1973). E dire che in televisione non si fa altro che assistere costantemente a programmi culinari di diverse fogge; sembra quasi una contraddizione: più si perde il vero valore del cibo e più questo ci viene riproposto e trasformato arrivando all’assurdità della stampante 3D per alimenti.

Il sistema globale ha lavorato bene sulle nostre menti, ha cancellato i nostri ricordi sostituendoli con dei nuovi e ha reso le ultime generazioni arroganti. Ha reso i genitori troppo impegnati e fragili e i figli incapaci di ricevere rifiuti e di crescere. Ovviamente sto generalizzando, essendo cosciente che, per fortuna, ancora qualche baluardo resiste.

Anche l’arte, cronista più o meno consapevole, del proprio tempo, pare arrivata alla frutta. Troppo spesso infatti ci è capitato di vedere sciocchezze propinate per arte, veicolate da un mercato che punta soprattutto al profitto invece che al valore artistico. Nascono così nuovi artisti, nuovi dei dai forti agganci, capaci di propinarci assurdità, dimenticando che ciò che facevano Duchamp o Fontana aveva un senso perché fatto in un determinato periodo storico, ma oggi è solo il nulla coperto dai vestiti nuovi dell’imperatore. Ma di che mai mi meraviglio! La voglia di stupire è nella nostra stessa natura. Siamo barocchi (chi più chi meno) e l’arte ne piange spesso le conseguenze. Anche le opere esposte in questa mostra (frutto del lavoro di Marco Bevilacqua, Lin Burian, Raffaele Dragani, Naire Feo , Dimitri Gazziero, Mario Giubilato, Elisabetta Gucciardo, Piera Ingargiola, Marco Lotà, Maurizio Muscettola, Iris Oltre, Aldo Palazzo, Ferdinando Segreti, Nancy Sofia)  ci parlano di un capolinea. Uno step estremo del genere umano costretto a districarsi tra i mille problemi della vita dai quali, spesso, sembra arduo potersi liberare.

Soli fra la folla vaghiamo connessi a tutti ma vicini a nessuno. I rapporti umani regrediscono, la morte ci si avvicina e quando ci raggiungerà noi cosa saremo in grado di dirle? Corriamo, ci hanno insegnato a correre, ma non ci hanno detto né quale né dove sia la meta da raggiungere; e noi perdiamo la nostra esistenza in questo modo (avatar di noi stessi in un immenso Matrix) delegando ad altri le nostre esistenze.

Siamo veramente alla frutta? Spero di no, ma se così fosse vorrei che alla fine del pasto mi fosse offerto un limoncello, almeno concluderei la mia esistenza con dolcezza e con un pizzico di ebbrezza, giusto per comprendere quanto poco io abbia capito di questo mondo.

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