Recuperi/30 - “Lo Manto o del pregevole linguaggio disegnativo” di Francesco Carbone

A scorrere attentamente il curriculum di Gaetano Lo Manto, ci si accorge quanto lunga e intensa sia stata e continui ad essere la sua atti­vità di artista e come la stessa attività si sia sostan­ziata sinora di rinnovati fermenti di ricerca e di esiti linguistici certamente tra i più significativi nel panorama della cultura figurativa non soltanto siciliana, come del resto è ampiamente dimostrato dai numerosi premi e riconoscimenti che gli ven­gono attribuiti.

Mosso da una sottile ideologia del tempo, o della temporalità come fenomenologia di un dive­nire mentale che a quello fisico e storico offre un nutrito apporto di idee e il senso dei loro orizzon­ti. Lo Manto ha capito sin dall'inizio come il dise­gno debba prestarsi ad una filtrazione ideativa fortemente immaginosa che lo sottragga alle sedi­mentazioni di un vedere conosciuto e abitudina­rio, pigramente assuefatto.

Ciò perché una delle principali conseguenze dell'incontrastata prolife­razione di una strategia comunicativa di tipo figu­rale, è sicuramente stata la produzione di una spro­porzionata quantità di immagini che, tendenzial­mente sempre più com­plesse e manierate, sono troppo spesso rivolte alla celebrazione di se stesse nello spasmodico tentativo di affermarsi all'interno di un sistema estetico, che presuppone una continua sfida con quella che si può definire la "moltitudine delle immagini adiacenti", che è tipica invece dei linguaggi pubblicitari. Si capisce perché la conse­guenza di ciò -contrariamente a quella che potreb­be essere una prima superficiale aspettativa - sia la sovrapproduzione di immagini che, per quanto elaborate, risultano essere normativizzate sino al punto di ottenere una uniformità tale negli esiti formali, per cui anche diverso il presunto nuovo risulta alla fine identico.

Così, per Lo Manto, il concetto di immagine disegnata come persistenza del modello e non come modellazione retorica della realtà, diviene proposizio­ne di immagini di tipo mentale e non concreto, per il quale "una rappresentazione non è un'immagi­ne, ma un'immagine può corrispondere a una rap­presentazione". Da queste differenze scaturite da un'intelligenza attiva, quanto criticamente seletti­va, si è snodata nel tempo la ricerca di Lo Manto, puntualmente e coerentemente sorretta da moti­vazioni culturali riferite ai saperi e alle conoscenze come ai pressanti condizionamenti socio-antropo­logici del nostro tempo. Su tali presupposti, già presenti sin dagli inizi, si innestano, dunque, l'uso delle tecniche e il punto di vista delle impagina­zioni sintattiche (tagli, campiture, toni, timbri, intersecazioni di piani, frammentazione di linee, ecc.), votati a desumere la superficie nelle sue più feconde letture disegnative.

Così, Lo Manto, che la natura vuole riumaniz­zare, trasferendo nell'arte una personalissima poe­tica dell'arte-fido,affida al disegno il compito di

rappresentare tale poetica, depurandola però di ogni enfasi descrittiva a favore di un impianto strutturale in cui il dato anatomico, architettonico, costituisce una sottile metafora dei profondi senti­menti umani.

E ancora, alla superficie del foglio, Lo Manto demanda il ruolo di rispecchiare i termini della

propria poetica, pratican­do stesure, scansioni, toni e timbri di un disegno rea­lizzato per intersecazioni di piani e di rapide riqua­drature di linee, di geome­trie oggettuali, di scenari in movimento filtrati da improvvisi squarci di luce, da zone d'ombra, dove il disegno diviene quello straordinario linguaggio, tipico delle tonalità e dei gradienti visivi di cui è capace questo singolare artista.

Dal disegno alla pittu­ra, all'uso dei materiali con cui costruire e model­lare: un trasferimento estetico - operativo che non rivela alcuna contraddizione, ma che fa dell'arte, ancora una volta- in virtù delle stupefacenti facoltà immaginative di cui è dotato Lo Manto - un prov­videnziale ritorno a quell' innocent eye, di cui di cui parlava John Ruskin.

L'intero potere tecnico dell'arte - sosteneva infatti Ruskin - dipende dalla nostra possibilità di recuperare quella che potrebbe essere chiamata l'innocenza dell'occhio. Questa innocenza discende anche dall'idea dell'arte come costruzione e dalla concezione agonistica e ludica, di cui essa può essere rivestita. Così, Gaetano Lo Manto opera un taglio, sia in avanti che in profondità, per vedere di stabilire se sia possibile ancora riuscire a scopri­re in noi la presenza di una condizione etica ed este­tica basata sui dati naturali suscettibili al tempo stesso di autentiche e immaginose riproposizioni artificiali.

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