“Mariano Pastore e gli uomini di pietra” di Carmelo Currò

Dopo una lunga pausa, impiegata nell’esplorazione di nuovi spazi del passato e nel raggiungimento di diversi traguardi, Mariano Pastore è tornato alla sua prima passione: la pittura. Una serie di incontri culturali ad Eboli, città natale e luogo di ricordi veri, non trasfigurati dagli anni e dalle suggestioni, è stata l’occasione per esporre i suoi dipinti, rivelatisi ancora pregevoli, innovativi, originali.
Dipinti che penetrano e raccontano il mondo del lavoro nella Valle del Sele: enorme distesa di ettari strappati da secoli al mare e alle paludi; già terra di infiniti panorami, di sospiri e di sudori, e poi luogo di coltivazione, serre, manifatture, inscatolamenti, manovalanza, caporali.
L’impatto con le opere di Pastore mi fa prepotentemente venire in mente i dipinti della Metafisica e di De Chirico. Eppure, in questi l’uomo non viene evocato che per immagini lontane: ora la statua di cui l’essere umano è algida riproduzione; ora il filo di fumo che esce dalla ciminiera di una locomotiva che attraversa un paesaggio deserto. Terre, città, piazze disabitate come in un film di sopravvissuti, e cui tuttavia si cercano tracce di esseri umani.
Tracce e segni che emergono da quei gruppi desolati e disumanizzati che Mariano Pastore riproduce in colonne di contadini che procedono al lavoro; in vecchi e giovanissimi che sostano in attesa del ritorno e della sera; in case intonacate e fredde, quasi luogo di dormitorio più che di riposo, di sogni e di abbracci. Chi siano o chi sono stati quegli esseri umani non è dato immaginare: poiché anche essi sono divenuti immagini e statue, numeri e spalle incurvate, giornate lavorative, frettoloso conto di tenui pagamenti, braccia e non menti né cuori. Nessun grido o sospiro si leva da quelle figure; nessun sorriso e nessuna ruga; o pianto né saluto. Qui tutto si è come raggruppato, pietrificato, per l’orribile metamorfosi che ha trasformato gli uomini traendo loro persino la flebile voce di Eco.
Solo i colori rimangono, come in De Chirico, immagine e memoria di prati, di sole, di umane sembianze, in grado di riprodurre e lanciare memoria di sentimenti.
Le fatiche dei secoli passati riannodate a quelle di oggi, accomunate dal filo conduttore che racconta, riproduce la cronaca di questi giorni e la fissa in immagini. Per questo, i quadri di Mariano Pastore, accolti con grande consenso ad Eboli, città capitale di questo mondo del lavoro, non sono dissimili dall’altro grande suo amore, ossia la storia. Le vicende di uomini e gruppi che in questi anni il pittore ha riprodotto sulla carta si aggiungono a quelle che sono state fissate sulla tela, e tutte si completano, si specchiano e si ripropongono per renderci meno estranee le vite degli altri.
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